Il Sole 24 Ore, 28 dicembre 2018
La manovra in 106 mance
Mentre la discussione su saldi e impianto della manovra si svolgeva tra Palazzo Chigi, il Mef e Bruxelles, il Parlamento si è potuto esercitare solo sulle micro-misure rese possibili dai margini strettissimi lasciati da reddito di cittadinanza e quota 100. Ne è nato un elenco di interventi settoriali che ha via via assunto dimensioni poderose, per iniziativa dei parlamentari ma anche di singoli uffici governativi che hanno usato questo o quell’onorevole come “sportello”: che non potendo occuparsi di politica economica, si è dovuto accontentare di assegnare 100mila euro per combattere le plastiche monouso, studiare la «riconversione» di Taranto (retaggio di ipotesi post-Ilva?) o 250mila euro alla Fondazione Lincei per la scuola. Chi ha guardato al (proprio) territorio ha invece spinto per singole opere pubbliche, che sono riuscite a sopravvivere anche al taglio degli investimenti post-accordo con la Ue: 1,5 milioni saliranno così sul ponte che in Lombardia unisce Calusco e Paderno d’Adda, 3 milioni andranno all’aeroporto di Crotone, 5 alla ferrovia Novara-Biella.
Si è creato così un elenco di almeno 106 “interventi polvere”, che non cambiano il segno della manovra (valgono in tutto 280 milioni, meno dell’1% della manovra) ma archiviano la promessa principale della riforma del 2016: una legge di bilancio tutta di tabelle per dire addio all’assalto alla diligenza e alle micro-misure, che non dovrebbero entrare nel calderone della ex Finanziaria ma trovare spazio in leggi di settore. Anche perché di notte tutti i gatti sono grigi, e il caos della manovra non riesce spesso a distinguere le mance più o meno clientelari dai finanziamenti meritori che avrebbero bisogno anche di più impegno. Bastano 3 milioni di euro ad affrontare i problemi dei disabili gravi privi di sostegno famigliare (comma 455)?
Nel traffico dei micro-emendamenti, una serie di vittorie importanti è stato inanellato dal personale dei ministeri che sono riusciti a giocare meglio la partita della manovra. La riforma del pubblico impiego del 2017 aveva deciso di vietare gli aumenti ai fondi decentrati, quelli con cui ogni amministrazione paga le parti variabili delle buste paga (premi, turni e indennità varie) fino all’arrivo di un futuribile riordino degli stipendi pubblici. Ma il riordino tarda e le deroghe prosperano. Salvini, da ministro dell’Interno, è riuscito a far infilare (comma 149) un aumento di 7 milioni del fondo decentrato del Viminale, che si aggiunge a un altro milione (comma 381) per il “suo” ministero. Una mossa analoga è riuscita all’agenzia delle Entrate: il comma 720 aumenta di 8 milioni il fondo decentrato dei dipendenti del fisco. Per la Direzione investigativa antimafia un nuova deroga è al comma 434, e vale 770mila euro. Ma oltre ai dipendenti pubblici qualche spicciolo arriva anche per i consulenti. Quelli chiamati ad aiutare il Mef per l’ambizioso piano di vendita del mattone di Stato, per esempio, potranno contare su 150mila euro all’anno per i prossimi tre.
C’è poi il calendario ad aiutare i parlamentari nel giocarsi la carta del sostegno alla cultura. Il 40esimo anniversario della scomparsa di Ugo Spirito “vale” 60mila euro per la fondazione che porta il suo nome, mentre i 20 anni dalla morte di Nilde Iotti si traducono i 100mila euro (altrettanti nel 2020) per celebrarne il ricordo. Quasi inesauribile è poi il filone «verde», dal milione per combattere la «Xylella fastidiosa» o censire gli alberi monumentali ai 2 milioni per il Catasto della frutta. Basteranno a costruire davvero politiche ambientali?