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 2018  dicembre 27 Giovedì calendario

Lo zen e l’arte di scrivere dizionari

Se visitaste un tempio zen a Kyoto potreste vedere la seguente scena: un giardiniere inginocchiato su un manto erboso armato di pinzette da sopracciglia e di infinita pazienza, intento a pulire — stelo per stelo, foglia per foglia — il prato, per renderlo perfettamente uniforme e libero da erbe aliene. Ci vuole una certa idea di disciplina, di ordine, di attenzione mentale per ingaggiare una così impari battaglia con il caos della natura. Forse solo un giapponese può farlo. Così come ci vogliono le stesse ossessione e pazienza per realizzare ex novo un dizionario che metta ordine nel fertile abisso della lingua dei segni. Un’impresa talmente titanica da richiedere quindici anni.
Almeno, questo è quello che racconta Miura Shion, scrittrice molto celebrata nel suo paese, ne La grande traversata (Einaudi Stile Libero, 326 pagine, euro 18,50), che oltre ad essere il titolo del romanzo è anche il titolo del vocabolario che dovrà vedere la luce. Perché in Giappone i dizionari, a differenza dei nostri, hanno spesso un titolo evocativo: Il vasto giardino delle parole, La grande foresta della parole, Il mare delle parole. «Un dizionario è una nave, le persone salgono a bordo e raccolgono i minuscoli punti di luce che galleggiano sulla superficie scura delle onde. Lo fanno per rivelare agli altri i propri pensieri con la massima chiarezza, usando i termini migliori. Senza di essi non potremmo che indugiare impauriti al cospetto della vastità di oceani infiniti», dice uno dei personaggi: idea tanto più vera in Giappone dove le parole possono essere molto ambigue. Inu — ci informa l’autrice — ad esempio vuole dire "cane", ma anche il "non esserci". Oppure koe: significa "voce, suono", ma anche "l’approssimarsi di una stagione o di una fase della vita".
Il romanzo inizia così, inoltrandosi nei dubbi semantici che affascinano i lessicografi. Ma che soprattutto servono al giovane editor Majime Mitsuma, per conoscersi, crescere, e attraversare infine la linea d’ombra che lo separa dalla maturità. Majime vuol dire "serio" ( nomen omen), ma il nostro protagonista è soprattutto un solitario impacciato, un candido, uno di quei personaggi inadatti alla vita che si rifugiano nei libri, accumulandoli ossessivamente. E quando, fatalmente, perderà la testa per una ragazza sarà il dizionario a venirgli in aiuto.
Vedi alla voce amore: "ren’ai (sostantivo): sentimento di esclusivo affetto passionale nei confronti di un rappresentante del sesso opposto, che genera di solito euforia e desiderio di stare con quella persona…. Ne deriva un stato di sconforto se come spesso accade il sentimento non è corrisposto, di gioia in caso contrario…". E anche se la voce è troppo antiquata (l’idea che l’amore sia solo eterosessuale sarà ovviamente cancellata nel nuovo vocabolario) e anche troppo pessimista ("come accade spesso, non corrisposto") gli servirà a capire chi è e che cosa prova. Grazie ai libri scriverà una leggendaria, lunghissima, lettera in giapponese antico: talmente aulica e densa di citazioni poetiche da essere fraintesa dalla destinataria («scusa, non ero sicura che fosse una lettera d’amore»), e schernita dai colleghi ai quali ingenuamente la fa leggere.
Siamo nella parte più bella e intrigante del libro: che qui è un bildungsroman in cui le parole con i loro misteri sono le vere protagoniste e dove si svela come l’arte di definirle sia un esercizio di logica, di sintesi, di visione. E l’educazione sentimentale di Majime diventa soprattutto un’educazione verbale che lo forma e lo consegna — felicemente — all’età adulta.
Nella seconda parte del romanzo lo ritroviamo infatti, una decina di anni dopo, sposato con la sua amata e direttore della redazione dizionari della casa editrice.
Ora il progetto — anzi la missione — di portare finalmente in tipografia La grande traversata poggia principalmente sulle sue spalle, e deve affrontare mille traversie e ostacoli.
Dall’Enciclopedia di Sokeboo (un videogioco talmente popolare da meritare per l’appunto un’enciclopedia), che rallenta i tempi di produzione, alla ricerca della carta perfetta (fabbricata appositamente: non troppo spessa, non troppo trasparente, sufficientemente viscosa perché sia facile girare le pagine). Fino agli ultimi giorni, in cui Majime costringe addirittura la sua squadra a vivere e dormire in redazione prima di dare l’ultimo "Visto, si stampi".
Come possa una scrittrice riuscire a raccontare la nascita di un vocabolario come un’impresa epica è un felice mistero: ma è uno di quei misteri cui ci ha abituato la letteratura giapponese, capace di trovare senso nei più semplici dettagli quotidiani. E infatti il romanzo — scritto con grazia e levità — è diventato un bestseller nel suo paese: con un milione e 300 mila copie vendute ha generato anche un film e una serie di cartoni animati. D’accordo: l’impacciato Majime sembra fatto apposta per commuovere le ragazzine, ma è bello pensare che un vocabolario possa diventare un deuteragonista così popolare.