Almeno, questo è quello che racconta Miura Shion, scrittrice molto celebrata nel suo paese, ne La grande traversata (Einaudi Stile Libero, 326 pagine, euro 18,50), che oltre ad essere il titolo del romanzo è anche il titolo del vocabolario che dovrà vedere la luce. Perché in Giappone i dizionari, a differenza dei nostri, hanno spesso un titolo evocativo: Il vasto giardino delle parole, La grande foresta della parole, Il mare delle parole. «Un dizionario è una nave, le persone salgono a bordo e raccolgono i minuscoli punti di luce che galleggiano sulla superficie scura delle onde. Lo fanno per rivelare agli altri i propri pensieri con la massima chiarezza, usando i termini migliori. Senza di essi non potremmo che indugiare impauriti al cospetto della vastità di oceani infiniti», dice uno dei personaggi: idea tanto più vera in Giappone dove le parole possono essere molto ambigue. Inu — ci informa l’autrice — ad esempio vuole dire "cane", ma anche il "non esserci". Oppure koe: significa "voce, suono", ma anche "l’approssimarsi di una stagione o di una fase della vita".
Il romanzo inizia così, inoltrandosi nei dubbi semantici che affascinano i lessicografi. Ma che soprattutto servono al giovane editor Majime Mitsuma, per conoscersi, crescere, e attraversare infine la linea d’ombra che lo separa dalla maturità. Majime vuol dire "serio" ( nomen omen), ma il nostro protagonista è soprattutto un solitario impacciato, un candido, uno di quei personaggi inadatti alla vita che si rifugiano nei libri, accumulandoli ossessivamente. E quando, fatalmente, perderà la testa per una ragazza sarà il dizionario a venirgli in aiuto.
Vedi alla voce amore: "ren’ai (sostantivo): sentimento di esclusivo affetto passionale nei confronti di un rappresentante del sesso opposto, che genera di solito euforia e desiderio di stare con quella persona…. Ne deriva un stato di sconforto se come spesso accade il sentimento non è corrisposto, di gioia in caso contrario…". E anche se la voce è troppo antiquata (l’idea che l’amore sia solo eterosessuale sarà ovviamente cancellata nel nuovo vocabolario) e anche troppo pessimista ("come accade spesso, non corrisposto") gli servirà a capire chi è e che cosa prova. Grazie ai libri scriverà una leggendaria, lunghissima, lettera in giapponese antico: talmente aulica e densa di citazioni poetiche da essere fraintesa dalla destinataria («scusa, non ero sicura che fosse una lettera d’amore»), e schernita dai colleghi ai quali ingenuamente la fa leggere.
Siamo nella parte più bella e intrigante del libro: che qui è un bildungsroman in cui le parole con i loro misteri sono le vere protagoniste e dove si svela come l’arte di definirle sia un esercizio di logica, di sintesi, di visione. E l’educazione sentimentale di Majime diventa soprattutto un’educazione verbale che lo forma e lo consegna — felicemente — all’età adulta.
Nella seconda parte del romanzo lo ritroviamo infatti, una decina di anni dopo, sposato con la sua amata e direttore della redazione dizionari della casa editrice.
Ora il progetto — anzi la missione — di portare finalmente in tipografia La grande traversata poggia principalmente sulle sue spalle, e deve affrontare mille traversie e ostacoli.
Dall’Enciclopedia di Sokeboo (un videogioco talmente popolare da meritare per l’appunto un’enciclopedia), che rallenta i tempi di produzione, alla ricerca della carta perfetta (fabbricata appositamente: non troppo spessa, non troppo trasparente, sufficientemente viscosa perché sia facile girare le pagine). Fino agli ultimi giorni, in cui Majime costringe addirittura la sua squadra a vivere e dormire in redazione prima di dare l’ultimo "Visto, si stampi".
Come possa una scrittrice riuscire a raccontare la nascita di un vocabolario come un’impresa epica è un felice mistero: ma è uno di quei misteri cui ci ha abituato la letteratura giapponese, capace di trovare senso nei più semplici dettagli quotidiani. E infatti il romanzo — scritto con grazia e levità — è diventato un bestseller nel suo paese: con un milione e 300 mila copie vendute ha generato anche un film e una serie di cartoni animati. D’accordo: l’impacciato Majime sembra fatto apposta per commuovere le ragazzine, ma è bello pensare che un vocabolario possa diventare un deuteragonista così popolare.