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 2018  dicembre 27 Giovedì calendario

Wall Street ostaggio dei robot

Solo il 9% degli investitori si aspetta una recessione globale nel 2019. Il 53% di loro prevede un rallentamento della crescita, secondo l’ultimo sondaggio di Bank of America, ma pochi vedono davvero nero. E ancora meno investitori prevedono cataclismi sulle Borse. Eppure i listini azionari crollano. Ieri Wall Street ha registrato un forte rimbalzo (nel corso della seduta S&P e Dow Jones hanno superato il +2%, il Nasdqa il +3%), ma questo resta il suo peggior dicembre dagli anni 30: -13% in un mese scarso. Ben otto Borse mondiali, tra le quali Milano e Francoforte, sono già in territorio di Orso: hanno cioè perso più del 20% dai recenti massimi. 
È vero che l’incertezza sulla politica della Fed, sullo scontro Usa-Cina, sull’andamento dell’economia e sullo shutdown pesano sui mercati. Ma la caduta delle Borse a dicembre, dall’Asia agli Stati Uniti, è stata troppo clamorosa per essere spiegata interamente con queste motivazioni “reali”. Infatti c’è un’altra ragione: a moltiplicare i ribassi, ben oltre la razionalità, sono stati algoritmi e strategie d’investimento con soglie d’allarme pre-impostate.
Come è nata la valanga 
Tutto parte dall’incertezza, incrementata in questi giorni dalle “sparate” di Trump contro la Fed, dallo shutdown e dal fatto che 5 banche centrali hanno alzato i tassi (Fed Usa, Hong Kong, Arabia Saudita, Svezia e Messico): questo ha fatto aumentare il nervosismo soprattutto a Wall Street. L’indice che misura la volatilità (Vix) è infatti salito violentemente al 36%: non toccava queste vette dal crollo dello scorso febbraio, quando arrivò al picco al 37% con un 50% intraday. Come segnala Antonio Cesarano, capoeconomista di Intermonte, la volatilità a Wall Street è salita così tanto che ha addirittura superato quella delle Borse dei Paesi emergenti.
Questo ha messo in allarme tutti i fondi che hanno la volatilità (cioè l’indice Vix) come parametro per misurare i rischi di mercato: secondo alcune stime – riportate da Reuters – gli investitori più o meno dipendenti dagli indici di volatilità hanno in gestione qualcosa come 1.500 miliardi di dollari. I più noti sono i fondi Risk Parity. Il problema per tutti loro è molto semplice: quando la volatilità supera certi livelli di guardia, predefiniti nelle loro strategie, sono costretti ad aggiustare in maniera automatica i portafogli. In parole povere, sono obbligati a vendere azioni. Così nasce la valanga di Borsa: un primo aumento dell’indice Vix fa scattare le prime vendite forzate, che a loro volta fanno cadere le Borse, aumentare ulteriormente la volatilità e scattare altre vendite forzate.
L’esercito degli algoritmi 
La velocità del tracollo dipende proprio da questo: dagli automatismi. Secondo le stime di Marko Kolanovic di JP Morgan, circa l’85% dei volumi di Borsa è prodotto da strategie d’investimento con il pilota automatico: quelle cioè controllate da algoritmi, modellini o formule di investimento passivo. Questo crea un inevitabile effetto valanga, dato che molte di queste strategie utilizzano gli stessi parametri per determinare i rischi. Morale: quando un parametro chiave (come la volatilità) supera certe soglie, gli algoritmi scattano in automatico.
Questo fenomeno si somma a una debolezza strutturale dei mercati post-Lehman: l’illiquidità, intesa come maggiore difficoltà a trovare compratori quando si vuole vendere. Secondo una ricerca di Goldman Sachs – riportata dal Wall Street Journal – il numero di contratti disponibile per comprare o vendere Futures sull’indice S&P 500 della Borsa Usa al miglior prezzo negli ultimi anni è calato del 70%. E numeri ancora più clamorosi si vedono sui mercati obbligazionari, dove ormai solo pochi titoli hanno scambi degni di questo nome. Questo crea un ingolfamento che alimenta i crolli dei mercati.
Effetto umano 
Ovviamente in questo contesto il fattore umano non è irrilevante. L’incertezza sull’economia e i ribassi delle Borse stanno infatti convincendo molti risparmiatori a ritirare i propri soldi dai fondi e a metterli in porti sicuri. Lo dimostra la fuga dai fondi azionari e il boom dei fondi monetari. Questo costringe i gestori ad aggiustare ulteriormente i portafogli. Cioè a vendere azioni e titoli rischiosi. E il ballo continua. Pur con improvvisi rimbalzi (causati dalle ricoperture) come accaduto ieri a Wall Street.