il Fatto Quotidiano, 27 dicembre 2018
Stroncatura del nuovo romanzo di Houellebecq
Se c’è qualcuno che ha azzardato una profezia – peraltro errata – non è Michel Houellebecq, ma la stampa: Serotonina, l’ultimo romanzo dello scrittore francese, in uscita il 4 gennaio in Francia con Flammarion e il 10 in Italia con La nave di Teseo, non parla di Gilet gialli, non è un j’accuse contro l’Unione europea (semmai contro il libero mercato e l’Occidente in generale, come sempre in MH), non è un manifesto ecologista, non è un peana delle georgiche e delle bucoliche o dell’età dell’oro contadina.
A dirla tutta, Serotonina non è neanche un romanzo convincente e coerente, decisamente non all’altezza di altri come Le particelle elementari, La possibilità di un’isola, La carta e il territorio (premio Goncourt) o il penultimo, incensatissimo, Sottomissione, uscito nel 2015 nel giorno dell’attentato terroristico alla redazione di Charlie Hebdo, che aveva appena sbattuto in copertina Michel criticandolo e che ora – col consueto humour nero – mette le mani avanti: “Ci asterremo dal parlarne male: l’ultima volta, francamente, non ci ha detto bene”. Anche in quel caso concionare di profezia letteraria fu avventato: nessun musulmano, nel frattempo, ha fondato un partito di massa né è salito al potere in Francia, e neppure il Front National della Le Pen ha mai rischiato davvero di vincere. Ma tant’è.
In Serotonina il riferimento (o presunto tale) all’attualità non arriva prima di pagina 220, tanto da far venire il dubbio che sia stato appiccicato ex post per non tradire la fama di “veggente” conquistata quattro anni fa – fama altrettanto posticcia, di cui il grande Houellebecq non ha francamente bisogno. Siamo “alla fine degli anni 2010”; sulle barricate ci vanno gli agricoltori, imbufaliti per le (allora) quote latte: più che al futuro – ai Gilet gialli o cos’altro – lo scrittore si è rivolto, quindi, al passato, senza peraltro sposare fino in fondo la battaglia dei piccoli produttori agricoli e dei contadini in via d’estinzione, come l’ex compagno di università del protagonista, Aymeric, morto nel violento scontro tra manifestanti (armati) e forze armate. Guerriglia pura, undici vittime e molto sangue, ma la cosa finisce lì, nel libro almeno, tra i pensieri del narratore almeno, anche se gli editori sparano in copertina la foto di un’auto in fiamme, strizzando l’occhio alle cronache di giornata.
Ma veniamo a lui, il narratore-protagonista: Florent-Claude Labrouste, 46enne scapolo, consulente del ministero dell’Agricoltura, orfano di genitori (suicidi: tra le pagine più belle del libro, ndr) da almeno vent’anni. È depresso: non indolente tipo Des Esseintes (da cui era ossessionato il François di Sottomissione), no, no, proprio depresso, e perciò dipendente dal Captorix, uno psicofarmaco di ultima generazione che favorisce “la liberazione della serotonina a livello della mucosa gastrointestinale” e ha, tra gli effetti collaterali, la perdita della libido e delle erezioni. Ciononostante – o forse proprio per questo – il signore non fa che pensare e parlare di sesso (come sempre in MH), sin hardcore: gang-bang con i cani, video amatoriali di pedofili, dimensioni e umori di “fiche e cazzi” in tutte le salse.
Erotomane, sessista, omofobo, conservatore, misogino, odiatore seriale, dagli chef stellati agli hotel smoking free, Florent è il classico personaggio (alter ego?) à la Houellebecq, che si diverte a canzonare, come altrove, gli Antichi Maestri della cultura e della letteratura: “Se Pascal avesse conosciuto il decoder avrebbe detto cose diverse… Rihanna avrebbe fatto sbarellare Marcel Proust”. Niente di trasgressivo né nuovo né originale per Michel: ricompaiono qui anche tutte le sue passionacce, per i supermercati e i centri commerciali, per l’alcol, per le giovani donne. Il romanzo è quasi di formazione: non alla vita, ma alla morte, cui il tristo Florent si sta preparando, andando in pellegrinaggio dalle sue ex fidanzate, alcune trascurabili, tipo Claire, altre cruciali, tipo Camille, veterinaria di poche pretese e ancor meno prodotti di bellezza, con cui ha assaporato e condiviso la vera felicità, dalla convivenza alle vacanze a Fuerteventura…
A parte la voce unica, ipnotica e insieme luciferina di Houellebecq, il romanzo soffre di molte incoerenze e incongruenze, temporali, ma persino caratteriali: è un po’ contorto Florent quando, da un lato, attacca gli eco-responsabili e, dall’altro, se la prende con gli Ogm e la Monsanto; oppure quando stigmatizza la gentrificazione e i bobos (bourgeois bohème), mentre imbecca continuamente il suo pubblico di lettori “popolari”. Quelli sì che avrebbero bisogno di serotonina.