Libero, 27 dicembre 2018
Fenomenologia del lacchè
Adulatore, piaggiatore, ruffiano o, se preferite, leccaculo. Parliamo di un tipo umano diffuso, una categoria in preda ad automatismi irreversibili. Là dove ci siano la ricchezza, la gloria e il potere, ecco formarsi il codazzo. Del resto profondi studi neurologici dimostrano che ricevere complimenti ci fa stare meglio, innalza il livello di serotonina nel cervello. Resistere agli elogi dunque è difficile, richiede distacco e scaltrezza. E il lecchino può essere un solido professionista. In un volumetto di agile consultazione che uscirà dopo le feste, Breve trattato sul lecchino, di Antimo Cesaro (La Nave di Teseo) la fenomenologia del baciatore di terga è diffusamente sviluppata, a partire dalle principali testimonianze storiche. Il filosofo greco Teofrasto, successore di Aristotele, lo descrisse così: «E se l’amico apre bocca per dire qualcosa, il lecchino invita gli altri a star zitti, e lo loda quando quello può sentire, e poi, se quello sta per concludere il discorso, applaude con un “Bravo!”». È esattamente quello che deve avere avuto in mente Paolo Villaggio quando ne ha ricalcato il carattere sul plotone degli impiegati servili colleghi di Fantozzi. Ma perfino Fantozzi si ribella nella partita di biliardo contro l’On. Cav. Conte Diego Catellani. L’orgoglio prevale, e lo rovina. Sì, perché il lecchino professionista non può mai permettersi rigurgiti di autostima. È il cicisbeo delle corti francesi, quello che fa le veci di un marito assente e previene ogni desiderio della dama, annullandosi per lei. Fuori di lì, il nulla. Dante Alighieri detesta la categoria: caccia all’Inferno Alessio Interminelli, un nobile lucchese, guelfo di parte bianca. Nella seconda bolgia del girone dei fraudolenti, l’uomo è costretto a restare con la testa coperta di merda, per via di quell’eccesso di elogi, di cui dice, «Ond’io non ebbi mai la lingua stucca», cioè sazia. parte sbagliata La lingua è il muscolo con il quale parliamo, ma anche lo strumento con cui percepiamo i gusti e che utilizziamo per un’azione intima come quella del bacio. Senonché, il lecchino il bacio lo dà dalla parte sbagliata, quella più lontana dal Cielo e più vicina a Satana. L’osculum infame, il bacio infame, suggellava patti demoniaci, ben diversamente dall’osculum pacis, che sanciva un legame di fratellanza. L’umettatore di chiappe esercita la sua arte seduttiva spingendosi a fare cose che anche una prostituta non fa. Se ogni puttana è infatti adulatrice, il lecchino è più sfrenato di qualunque meretrice, poiché la sua etica è la stessa che sovraintende al potere politico, cioè nessuna. Sembra che i francesi se ne intendessero di queste cose. Forse non è un caso se La Rochefoucauld inchiodò il concetto tre secoli e mezzo fa: «Gli uomini non vivrebbero a lungo in società se non si ingannassero reciprocamente». Dove finisce la diplomazia e comincia l’ipocrisia? Dove finisce la franchezza e comincia l’offesa? Difficile dirlo, tanto la linea è sottile. Nel dubbio, a leccare si sbaglia di meno. Uno dei pamphlet più incisivi dell’età dei Lumi, il Discorso sulla servitù volontaria, di Etienne de la Boétie (1576), postula addirittura che l’uomo non riesca a vivere se non sottomettendosi a qualche potente. Chi più chi meno, diciamo. Ma basta guardarsi intorno. Prima era Silvio, adesso è Matteo. Guardate il capannello, guardate i poeti di corte. Chiedete a Casalino. Baldassarre Castiglione, nel Cortegiano, così spiega: «Da natura tutti siamo avidi troppo più che non si dovria di laude, e più amano le orecchie nostre la melodia delle parole che ci laudano, che qualunque altro soavissimo canto o suono». Basta mettere insieme i due elementi e il gioco è fatto. Vince chi loda di più e perde chi è più facile a sdilinquirsi. libero dissenso Ha scritto Jonathan Swift: «È vecchia massima nelle scuole che l’adulazione è il cibo degli sciocchi; tuttavia di tanto in tanto gli uomini d’ingegno condiscendono ad assaggiarne un po’». Sarà per questo motivo che Machiavelli consiglia al Principe di non permettere che chiunque gli esprima liberamente il proprio dissenso, ma selezionare quelli che glielo possono comunicare in privato. Per concludere. Il volumetto del professor Cesaro non può che essere stato ispirato dalla vita vera, dal momento che l’autore è stato deputato, eletto nella famigerata lista civica di Monti, poi passato nel gruppo misto e ricompensato dal Pd con una carica ministeriale. Peccato che sia caduto in disgrazia, perché ci sarebbe piaciuto tanto fargli i nostri complimenti più sinceri.