il Giornale, 27 dicembre 2018
Salah non vuole compagni israeliani al Liverpool
Reazioni molto negative in Israele alla notizia, diffusa dal Jerusalem Post e ripresa dalla stampa internazionale, dell’intenzione della stella egiziana del Liverpool Mohamed Salah di chiedere di essere ceduto qualora il club inglese ingaggiasse l’attaccante israeliano del Red Bull Salisburgo Munas Dabbur.
La presunta affermazione di Salah – che tra il 2015 e il 2017 ha giocato con ottimi risultati tre campionati di serie A in Italia, uno nella Fiorentina e due nella Roma – non è stata fatta pubblicamente, e lo stesso giornale israeliano che ne parla precisa che l’entourage del calciatore egiziano smentisce: Mohamed Salah è un professionista, viene chiarito, e ha bisogno di essere lasciato tranquillo e concentrato sull’unica cosa che gli interessa, cioè giocare al calcio. Quali altri giocatori il Liverpool decida eventualmente di ingaggiare non è cosa che lo riguardi, aggiungono queste persone a lui vicine.
È probabile che le cose stiano effettivamente così, e tuttavia alcuni episodi del passato di Mohamed Salah portano a ritenere che la malevola indiscrezione che lo riguarda potrebbe rivelarsi fondata. Nel luglio 2013, quando giocava nella squadra svizzera del Basilea, in una partita di qualificazione alla Champions League l’attaccante egiziano evitò di stringere le mani dei suoi avversari del team israeliano del Maccabi Tel Aviv, preferendo attardarsi ostentatamente a bordo campo per rimediare alla «dimenticanza» di allacciarsi gli scarpini. Nella partita di ritorno, Salah fece richiesta di essere lasciato a casa, ma il club svizzero non sentì ragioni e lo aggregò per la trasferta in Israele. Salah fu schierato in campo dal primo minuto, ma quando arrivò il momento delle strette di mano con gli avversari preferì limitarsi a rapidi colpetti con il pugno, suscitando inevitabili commenti critici. Salah, si disse, non vuole «sporcarsi le mani» con gli ebrei.
Anche in quella occasione fu la stampa israeliana (il Times of Israel in particolare) ad attribuire al campione egiziano frasi compromettenti: «Andrò in Israele. Il calcio è più importante della politica ed è il mio lavoro. Nella mia mente giocherò in Palestina e non in Israele, segnerò e vincerò. La bandiera sionista non sarà più esposta in Champions League». Frasi mai più trovate presso alcun’altra fonte, ma è un fatto che quando successivamente un giornalista tentò di chiedergli se quelle parole le avesse effettivamente pronunciate, la conferenza stampa cui Salah stava partecipando fu bruscamente interrotta.
È un altro fatto noto che Mohamed Salah detto «Momo», che in Egitto è un idolo popolare di prima grandezza con tanto di murales che lo ritraggono al Cairo e in altre città del Paese, è un musulmano molto osservante. Quando segna un gol (gli capitò anche quel giorno di cinque anni fa in Israele) ringrazia Allah con un gesto di devozione, inginocchiandosi e alzando al cielo le mani e lo sguardo, infischiandosi della norma Fifa che vieta l’espressione in campo di convinzioni politiche o religiose: in tutto il mondo islamico è ben conosciuto per questa abitudine. Salah ha anche una bambina di quattro anni che ha chiamato Makka, e non per caso: è la parola araba che indica La Mecca, città santa dei musulmani.
Dopodiché, nulla di tutto questo è un reato. Soltanto se fosse vero che Salah ha chiesto la cessione pur di non avere un compagno di squadra israeliano sarebbe, più che una colpa, una tristezza.