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 2018  dicembre 23 Domenica calendario

I mestieri del futuro

Immaginate un’università senza facoltà. Solo poli interdisciplinari in cui prepararsi ai mestieri del futuro: spazzino dell’aria, preparatore di cibi sintetici, manager agroalimentare nelle terre più povere, ingegnere-antropologo del Dna, conservatore del clima. Scienza, filosofia, tecnologia, sociologia, chimica. Ma soprattutto etica. Tutto insieme. Per farlo, bisognerebbe scardinare il sistema accademico attuale, smobilitare dipartimenti e cattedre. Cathy Davidson, a capo del centro «Futures Initiative» alla City University of New York (più svariate altre voci nel suo sterminato curriculum), e autrice del bestseller The New Education, a «la Lettura» spiega il perché di questa «necessaria rivoluzione»: «Dobbiamo passare da un sistema di istruzione statico, modellato sull’economia industriale del XX secolo, a uno in grado di affrontare il mondo liquido di oggi».
Azione, reazione. Una volta era così: la laurea e l’impiego che quella laurea garantiva. Adesso, sostiene Davidson, «essere preparati in un campo specifico non è sinonimo di occupazione». E se è vero che il 65% dei bambini oggi sui banchi delle primarie farà un lavoro che ancora non esiste, che il 75% della working class — dati dell’Onu – è assunta in modo temporaneo e precario, è la classe media la più minacciata e a rischio estinzione: «Non navigano in buone acque gli addetti nel settore della musica, nel servizio sanitario, i manager d’albergo, i librai, perfino i tassisti». Per non parlare di certi «lavori femminili»: infermiera, insegnante, assistente sociale, «professioni per le quali servono studi universitari ma che non assicurano salari adeguati». A peggiorare le cose, ovviamente, internet. Non in toto, però. Cathy Davidson (cofondatrice del primo social network universitario, hastac.org, nel 2002, pioniera dei podcast accademici nel 2004) è consapevole della libertà – individuale, culturale, professionale – che la rete garantisce a milioni di individui. Ne vede tuttavia i pericoli, soprattutto per le giovani generazioni: il bombardamento di informazioni veicolate in modo incontrollato, l’intrusione nella sfera della privacy, la rapina dei dati, dei gusti, delle scelte nella vita. «Tutti aspetti che la scuola e l’università dovrebbero capire e illustrare ai ragazzi, anzi ai bambini. Perché un punto è fondamentale: bisogna dominare i supporti elettronici, non diventarne schiavi».
Dunque sì ai computer in classe – Davidson è contraria a ogni forma di tecnofobia – e sì a un insegnamento creativo. Non è uno slogan: la docente pluripremiata ha idee chiare e concrete. Sa che scuola e università non sono sostituibili, – «imparare dalla strada è molto più pericoloso che vent’anni fa, se per strada intendiamo un mega contenitore di informazioni fuori controllo» – ma propone un cambiamento: «Dobbiamo dare agli studenti strumenti per affrontare la complessità del mondo, per superare la prossima crisi tecnologica o economica che minaccerà le loro carriere. Nessuno sa con esattezza quali nuove professioni emergeranno nei prossimi cinque anni». Dunque, visto lo scenario nebuloso, meglio le larghe competenze, che attraversino vari campi disciplinari, piuttosto che le iper specializzazioni «destinate all’obsolescenza». 

La docente intravede nuove possibilità per ridefinire i campi di conoscenza, immagina aree di insegnamento che tengano insieme scienze umane e scienze «dure», economia e antropologia, elaborazione e contestualizzazione storica dei dati («in questo mare di informazioni e disinformazioni veicolate dai governi che camminano mano nella mano con le grandi aziende»). Perché «non c’è niente di più interessante che un ciclo di studi in grado di superare gli ambiti». E visto che per shakerare il curriculum bisogna shakerare le università, «immagino una grande sfida, una sorta di Hunger Games in cui le facoltà hanno un giorno per riorganizzarsi in base alle affinità, alle passioni, agli interessi. Questa nuova università sarebbe molto più interessante di quella attuale». E, secondo la visionaria professoressa, più pronta ad affrontare le sfide del futuro.
In questo senso Kathy Davidson vede due scenari. Uno «distopico»: «Internet senza regole, lo strapotere di Facebook, la nostra privacy venduta in una condizione di totale violazione della fiducia pubblica, nessuno che si oppone, la distruzione della classe media». Il dramma è che più o meno «siamo a questo punto, ci sono ragazzi ben preparati dagli atenei che hanno lavori sottopagati: questo è un grave problema educativo, ma soprattutto sociale. Oggi in America un insegnante delle superiori guadagna il 17% meno di un’altra persona con lo stesso livello di educazione». Poi c’è lo scenario «utopico»: «L’umanità si accorge di essere vicina al baratro e si organizza: oltre a macchine che si guidano da sole e a una migliore distribuzione del reddito, immagino lavori in cui gli uomini collaborino con l’intelligenza artificiale per affrontare questioni globali. La fame, il sovraffollamento del pianeta – la scienza dice che la Terra non può sostenere più di 10 miliardi di persone – la cura dell’ambiente. Ma per risolvere certi problemi servono professionisti preparati scientificamente, filosoficamente, eticamente. Per gestire il controllo delle nascite serve una figura con preparazione medica, legale, che sappia collaborare con le popolazioni, dimostrare cultura e sensibilità. Sono queste le capacità per passare dallo scenario distopico a quello utopico».
Agrobusiness, protezione del paesaggio, bioingegneria etica. La docente si dice ottimista, «tanti programmi universitari stanno nascendo per dare ai ragazzi una visione più ampia e profonda della realtà». Il problema, dice, sono i monopoli, il controllo del pianeta, «mai così oppressivo», in mano a pochi. «Per questo, fin dai primi anni di istruzione, dobbiamo formare ragazzi entusiasti, sviluppare le loro passioni senza subissarli di test, educarli all’arte e all’immaginazione, così terribilmente necessarie per risolvere i problemi di oggi. Abbiamo bisogno di creative thinker, teste creative che imparino naturalmente, che vivano gli studi come una strepitosa opportunità per pensare in grande e divertirsi».
Il 24 gennaio  The New Education riceverà il Frederic W. Ness Book Award. Ma Cathy Davidson ha già in mente un altro progetto: «Una trilogia di fantascienza ambientata in un mondo post atomico devastato dalla Terza guerra mondiale. Si chiamerà The force of nature».