Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  dicembre 24 Lunedì calendario

Intervista a Katia Ricciarelli

Con il 2019, Katia Ricciarelli festeggia il mezzo secolo di attività. Quale? Domanda lecita poiché è nata soprano, una fra le più belle della seconda metà del secolo scorso. Quindi ha assaporato le delizie del set cinematografico aggiudicandosi pure il Nastro d’argento come miglior attrice. Si occupa di regia, insegna, canta, divulga l’opera. Si è spinta nei territori dei reality show. Una vita sentimentale vibrante: da Pippo Baudo, divorzio dopo 18 anni di matrimonio, al tenore José Carreras.
Come festeggerà i 50 di carriera? Si parla di una fiction sulla sua vita.
«Vero. Stiamo lavorando a un progetto di film». 
Dove reciterà se stessa?
«Fin dove è concesso. Bisognerà poi trovare qualcuno che mi sostituisca nella giovane Katia. Sto poi pensando a una festa in musica con le persone che hanno contato nella mia vita. Una festa fra amici».
Cos’è l’amicizia?
«Una cosa seria. È la più alta forma d’amore. La passione può anche finire, ma l’amicizia rimane, è fatta di complicità, stima».
Ha più amiche o amici?
«Prevalgono le amicizie maschili, ma quelle femminili sono molto molto forti. E comunque non ho tanti amici, sebbene quei pochi siano buoni. Sono persone che se le chiami anche dopo mesi di silenzio non si lamentano, anzi la prima cosa che ti dicono è Che piacere sentirti».
Ha accennato alla passione. Lei ha avuto tanti amori, alcuni tormentati. Li rivivrebbe?
«Certo. Ho amato le cose belle che mi sono successe, e alla fine anche quelle brutte. Sei sempre tu che scegli. E per questo devi amare anche le cose che non sono andate bene, dopotutto le hai scelte tu. L’importante è capire che hai sbagliato ed evitare di rifare lo stesso errore».
Cosa è rimasto della Katia d’un tempo? In cosa è cambiata?
«Io sono quella che ero. Non sono per niente cambiata. E aggiungo: per fortuna. Continuo a fregarmene dei beni terreni. Non sono venale. Non mi rammarico se perdo un anello, se mi rubano qualcosa. Cose che capitano, pazienza mi dico. In queste circostanze reagisco con freddezza, e guardo avanti. Bisogna staccarsi dai cosiddetti beni materiali».
Spirito buddista?
«No. Più semplicemente sono distante da certe cose».
Cosa sente quando guarda indietro?
«Il passato non mi interessa, vivo il presente, alla giornata. Quanto al futuro, chissà. Non so cosa m’aspetta. Sa che ho appena perso la mia adorata cagnolina? Non mi chiede niente?».
Non volevo aprire una ferita.
«Ne parlo volentieri. Anzi voglio ricordarla. Da quando se ne è andata, mi sento orfana. Non ho ancora deciso se prendere un altro cane. Mi sembra così insostituibile».
Eravate in sintonia
«Molto. Viaggiava sempre con me, sul passaporto c’era scritto Dorothy Ricciarelli, il nome era un omaggio alla moglie di Caruso. Anche al ristorante era sulla sedia al mio fianco. L’avevo trovata per strada e la portai subito in teatro. Le piaceva la ribalta. Quando sentiva gli applausi voleva uscire anche lei a prenderseli. Prima ero sola come un cane. Ora sono sola e senza un cane. Noi donne siamo strane. Se ci manca un uomo superiamo il dolore, ma se ad andarsene è un animale fatichiamo».
Sta dicendo che è stato più facile girare pagina quando ha chiuso con un uomo?
«Assolutamente sì. Questo lutto non è comparabile a una storia finita».
Vorrei frugare un po’ nel suo passato, e chiederle quali direttori d’orchestra ricorda volentieri. 
«Ho lavorato con i più grandi, difficile dirlo. Il pensiero va ad Abbado, Muti, Karajan, Solti, Chailly, Maazel. E Kleiber naturalmente».
E i registi memorabili?
«Sicuramente Ronconi: un genio. Ma anche Zeffirelli, Strehler, Pizzi. I loro spettacoli non deludono mai. C’è la bellezza che accontenta l’occhio e si sposa bene con musica e canto».
Le è capitato di litigare con i registi piantandoli in asso? 
«Accadde con una Carmen, troppo moderna. Poi in Turandot: io ero Liù e nella scena in cui muoio era previsto che venissi lasciata a terra con Turandot e Calaf che cantano il duetto d’amore. Lo trovavo oltraggioso, Liù doveva andarsene col corteo funebre. Poi mi opposi a un’altra regia dove mi si chiedeva che nel momento in cui Otello mi strangola, io, come Desdemona, avrei dovuto fare in modo che uscissero i seni. Ma figuriamoci. Tutto questo per attirare un poco l’attenzione». 
È polemica...
«Non sopporto le regie che vogliono prevalere su canto e musica distogliendo l’attenzione del pubblico. Il pubblico non ama diverse collocazioni storiche e stravolgimenti».
Come il finale rovesciato di Carmen che uccide Don José
«È accaduto pure questo?».
Sì, in una produzione fiorentina del gennaio 2018. Carmen ha impugnato una pistola, e bum, ha ammazzato l’aguzzino. Un messaggio contro il femminicidio.
«Questa poi. Me l’ero persa. Se vogliamo combattere il femminicidio non è con questi mezzi che si opera. Se vuoi difendere i diritti delle donne non percorri questa strada. E poi, anche noi donne talvolta siamo cattive con gli uomini».
Vedi Tosca che uccide Scarpia? Però la tentazione è forte. 
«Tosca è così bigotta da preferire un omicidio al sacrificio d’amore».
Meglio Carmen, la sigaraia libera e indomabile?
«Era una donna che quando amava, amava profondamente, un uomo alla volta comunque. Finita una storia non ne voleva più sapere».
Altre donne del melodramma che apprezza?
«Non ne amo una particolare. Diciamo che le storie sono sostanzialmente le stesse. L’opera è costruita sulle sofferenze dell’amore ed è fatta da donne forti».
Compresa Mimì (Boheme), la fanciulla che ricama e fa gigli e rose?
«È una seduttrice. È lei a spegnere la candela per avvicinarsi a Rodolfo».
E Desdemona?
«Lei, poi, è fortissima. Dice al padre che vuole Otello, il moro dalle labbra gonfie. Si impone. È sgamata. Lo stesso vale per Micaela in Carmen. È coraggiosa a tal punto d’andare nel covo dei banditi per portarsi via Don José. Il melodramma è un po’ come la vita. Donne provocate e che provocano».
A proposito, un commento su #metoo nel mondo della lirica?
«Mah. Lamentarsi dopo vent’anni di supposte moleste». 
Approva quel che scrive di lei la consultatissima Wikipedia? Cosa rettificherebbe? 
«Tendo a non leggere le cose che mi riguardano».
Compresa questa intervista?
«Questa sì, suppongo sia coerente con quanto detto. In generale non mi interessa quello che dicono gli altri di me soprattutto quando non hanno conoscenze sufficienti». 
Cosa le ha insegnato il palcoscenico?
«La vita è un grande palcoscenico». 
E il mestiere? Il suo è fatto di aspetti durissimi. Sempre sotto esame.
«Mi ha insegnato l’importanza della disciplina, perché non si fa una carriera senza una disciplina, se non c’è sacrificio e anche rispetto del prossimo e di se stessi. Il rispetto dell’altro è fondamentale come in una squadra di football».
Segue il calcio?
«Lo adoro».
Sacrifici e gavetta. Questa fu la sua giovinezza, così si dice.
«E così fu. Però grazie a questo io ora posso sopravvivere in qualsiasi situazione. Il sacrificio ti insegna a capire tante cose, a sopportare, superare, andare avanti senza piangerti addosso. Impari a rimboccati le maniche, a non perderti d’animo. Gavetta e sacrifici sono una lezione di vita fondamentale». 
Ha avuto un’infanzia in cui sono mancate tante cose, a partire dal padre. Questa sofferenza cosa ha insegnato?
«Se soffri già da piccolo impari a difenderti. Aver sofferto è fondamentale per un cantante. Interpreterà con sentimento e verità quando sarà in palcoscenico. Chi non ha da dare, non dà».
Ovvero chi non ha sofferto ha poche chance di affermarsi come cantante?
«Tutti i cantanti lirici con cui ho lavorato hanno sofferto. Aggiungo questo: la maggior parte ha avuto una famiglia che ha fatto grossi sacrifici. Posso ricordare solo due o tre di casi di cantanti senza famiglie disagiate. I più determinati hanno sofferto molto, spinti dalla forza di rivalsa, dalla volontà di ridare qualcosa alla famiglia».
Nel suo caso, alla mamma. 
«Io ho fatto tutto per lei». 
E lei apprezzò?
«Assolutamente sì. È stata il perno della mia esistenza».
Avevate personalità simili?
«Molto. Anche lei era determinata, divertente, amava stare con i giovani. Una lavoratrice indefessa. Aggiungo che aveva pure una bella voce. Entrambe amiamo l’ironia».
Quindi se a una cena potesse invitare un compositore del passato sarebbe Gioachino Rossini?
«E non solo perché era ironico. Amava le belle cose. Era ricco e questo perché aveva capito tutto. Però penso che andrei a letto con qualcun altro».
Chi?
«Magari Puccini. Si dice fosse donnaiolo ed era attratto dalla caccia». 
A proposito di attrazioni. È sempre viva la passione per il gioco?
«Sì, ma vorrei specificare che non pratico il gioco d’azzardo. Io gioco solo con slot machine perché mi diverto come una bambina. Sto anche mesi senza giocare». 
Niente ludopatia.
«Mi arrabbio quando usano questo termine. Io vivo anche senza il gioco. E soprattutto, la cosa fondamentale è che non ho mai chiesto i soldi a nessuno. Sono miei». 
Indipendente da subito.
«Ho iniziato a lavorare a 13 anni. Quindi, mi dico, potrò anche permettermi di far quel che voglio coi miei soldi».
Tuffo nel passato. Il grande sogno di una giovane Katia era cantare con Del Monaco. Accadde a Bruxelles, in Otello. Un ricordo di quel giorno speciale. 
«Essere stata la sua ultima Desdemona non è cosa da tutti. Fu un sogno che si avverò. Era uomo di grande fascino, con una voce d’argento, un puro metallo. Aveva poi una personalità da vendere. Pur essendo non molto alto quando compariva in scena sembrava bellissimo. Un vero animale da palcoscenico». 
Torniamo agli anni di studi, alla giovinezza squattrinata.
«Alla fine sono stati gli anni più belli della mia vita, vissuti a Venezia, una città splendida, con amici splendidi».
Musicisti?
«Rigorosamente non musicisti. Frequentavo persone dell’università Ca’ Foscari, gente che mi poteva dare qualcosa di diverso, io volevo conoscere, ero una spugna. È stato un periodo bellissimo. Senza una lira, ma ero spensierata».
A proposito di avidità di conoscenza. Cosa sta leggendo?
«Niente. Non ho più tempo per far niente. Arrivo alla sera così stanca che crollo e vado a letto prestissimo». 
A cosa sta lavorando?
«In novembre ho curato la regia dei Puritani a Trieste. Continuo a cantare, insegno. Poi sono sempre più coinvolta nella divulgazione dell’opera. Sto cercando di far capire ai bambini dai 5 ai 10 anni cosa è il melodramma. Ho scritto un libro su questo tema con Marco Carrozzo, che è poi l’autore della mia biografia. Raccontiamo sei opere a lieto fine, come Barbiere o Flauto magico, una narrazione che sa di favola». 
Perché ha scelto Bardolino come residenza?
«Abitavo a Verona, poi venni qui per una passeggiata e mi innamorai subito del posto. Ho trovato casa ed eccomi qui. Ci sono tramonti meravigliosi su questo lago».