Il Sole 24 Ore, 24 dicembre 2018
Negli Usa l’assicurazione sanitaria ti spia anche quando dormi
Da quando vivo negli Stati Uniti non passa giorno che sul mio telefonino non arrivino una o due chiamate da qualche sperduto call center. Sul display appare un numero dell’Indiana o del Montana. Risponde una voce, quasi sempre un messaggio registrato, che mi propone un’assicurazione sanitaria. Una tortura. Nella metropolitana, nei cartelloni pubblicitari per strada, negli spot televisivi, a tutte le ore, i messaggi promozionali delle varie società sono una costante. Immagini di anziani che corrono su spiagge incontaminate. Famiglie felici che corrono tenendosi per mano…
Se non hai i soldi non ti curi
Negli Stati Uniti curarsi costa. La sanità pubblica europea per tutti, vista da qui, con tutti i suoi problemi e le sue criticità, appare una conquista civile immensa, lontana anni luce da questa mentalità dove tutto è produttività, fatturato e profitto. Se arrivi al Pronto Soccorso per un incidente, prima di accettarti ti chiedono se hai la copertura assicurativa. Se hai qualche linea di febbre e provi a farti visitare dal medico di base devi essere pronto a tirare fuori 350 dollari. Il dottore ti prescrive una scatola di antibiotici e qualche antinfiammatorio: al conto vanno aggiunti altri 100-150 dollari. Se poi decidi di farti visitare da uno specialista il conto sale a 700 dollari. Solo per la visita. Se non hai i soldi o non hai l’assicurazione non ti curi. E speri di non ammalarti. Non è raro per le strade di New York, soprattutto tra la popolazione nera, incontrare anziani malmessi che restano così, destino ineluttabile, perché non hanno le risorse economiche per curarsi. Obama tra mille difficoltà ha provato a modificare questo sistema. Ma la sua riforma, mai pienamente approvata, ora rischia di saltare dopo il pronunciamento di un giudice texano, l’ennesimo, che l’ha dichiarata incostituzionale alla luce delle modifiche apportate dall’attuale amministrazione.
Le assicurazioni sanitarie sono dappertutto
La sanità americana insomma è un incubo per i suoi costi. Tanto che molti americani espatriano, fanno le “vacanze sanitarie” scegliendo posti dove curarsi costa meno. Un po’ quello che succede con la gente che dal Friuli e Veneto va a farsi rifare i denti in Slovenia. Da qui si va nelle cliniche in Israele o, fenomeno più recente, nelle cliniche americane modernissime in Qatar che trovi reclamizzate sulle riviste patinate. Se la sanità americana è un incubo per i suoi costi, le assicurazioni sanitarie sono dappertutto, una presenza ubiqua, un grande occhio che vede e controlla. ProPublica di recente ha raccontato la storia di un malato che ha scoperto di essere spiato dalla sua assicurazione mentre dormiva. La storia di Tony Schmidt interessa potenzialmente milioni di americani che soffrono di apnea durante il sonno e utilizzano i respiratori per dormire meglio. Le assicurazioni, dicono gli esperti, utilizzano tutte le tecniche possibili per stare sui costi. Arrivando anche a spiare la vita privata e le abitudini dei loro pazienti.
I malati del sonno
La storia comincia il mese di marzo quando il signor Schmidt, 59 anni, specialista in information technology di Carrollton, Texas, scopre qualcosa di strano nella sua macchina Cpap (Continuous positive airway pressure), il dispositivo medicale con una pompa che produce ossigeno e una maschera che lo aiuta a respirare meglio durante il sonno e a evitare le apnee di cui soffre. Senza quella macchina Schmidt sarebbe costretto ad alzarsi centinaia di volte ogni notte per respirare. Come lui, 22 milioni di americani che soffrono dello stesso disturbo nel sonno, secondo i dati dell’American Sleep Apnea Association, sono costretti a usare la macchina Cpap durante la notte. Il programmatore texano scopre che il suo Cpap lo spia, senza che lui abbia mai fornito nessun tipo di consenso all’assicurazione né alla società produttrice che glielo ha fornito: il dispositivo registra quando è in uso e quando è spento. Spedisce direttamente le informazioni non solo al suo medico, ma anche all’azienda produttrice che li gira alla sua assicurazione sanitaria.
Costi quadruplicati
L’apparecchio Cpap costa dai 400 ai 600 dollari, a cui va aggiunta la spesa periodica per sostituire i filtri e la maschera. Ma le assicurazioni hanno sviluppato delle tecniche raffinate per rendere più costose le terapie. Obbligando i pazienti ad affittarle per far lievitare i costi. Se un medico ti prescrive l’uso di una di queste macchine l’assicurazione te lo fornisce, ti costringe a pagare un canone che, sommato nel tempo, arriva a costare molto di più del costo unitario dell’apparecchio per chi non ha l’assicurazione. Un contratto tipo è di 15 mesi con un canone di 104 dollari al mese, più i filtri e gli altri accessori, la spesa arriva a superare i 2000 dollari. Quattro volte tanto il costo dell’apparecchio. Il ricarico delle assicurazioni è anche sugli accessori: un filtro costa 7,5 $ ma viene passato a 25 dollari, la maschera che si trova sul mercato a 90 dollari costa all’utente 150 $, con il passaggio dell’assicurazione.
Tutela della privacy
I problemi per la privacy del signor Schmidt iniziano il giorno dopo la registrazione del suo nuovo Cpap alla società produttrice ResMed. Al risveglio al mattino gli arriva una mail da ResMed: congratulazioni per aver completato la tua prima notte di terapia. Allegato un report dettagliato con i minuti di utilizzo della macchina durante il sonno. Schmidt chiede alla società che gli ha fornito l’apparecchio il perché di quella mail: gli spiegano che i suoi dati vengono condivisi con la sua assicurazione, Blue Cross Blue Shield. Allarmato per la diffusione dei dati si chiede dove finiscano le sue informazioni personali e scrive una lettera al Better Business Bureau, l’agenzia governativa che cerca di migliorare le regolamentazioni e gli standard volontari dell’industria, e scrive anche al governo federale. Nel ricorso racconta la storia e poi si chiede perché quei dati gli siano stati rubati: «Il mio dottore è la SOLA persona che ha il permesso di avere i miei dati». In una e-mail il portavoce dell’assicurazione risponde che è una pratica standard delle assicurazioni quella di monitorare i dati di sonno dei pazienti che soffrono di apnea per rifiutare il pagamento, se essi non utilizzano la macchina. Secondo esperti di privacy la condivisione dei dati tra aziende produttrici e assicurazioni è permessa dalle leggi federali.
Class action contro la cresta delle assicurazioni sanitarie
A quel punto il signor Schmidt decide di restituire l’apparecchio Cpap e torna a un modello più vecchio che prevede la registrazione dei dati con una memory card, senza connessione automatica a internet. Il suo dottore può verificare i dati leggendo la schedina magnetica, ma lui così non viene più spiato. Di storie come quella del signor Schmidt, di ricorsi contro le assicurazioni, nella sanità americana ce ne sono migliaia e migliaia ogni anno. Ma le assicurazioni hanno quasi sempre ragione. Sono loro che scrivono le regole e stabiliscono i prezzi. Non c’è molto da fare per tutelarsi dal loro strapotere. E dai loro ricarichi di costi. In un tribunale del Connecticut è in corso una class action contro Cigna, una delle principali società di sanità privata del paese, per le bollette rincarate, rispetto ai costi di mercato. Una pratica abituale che non riguarda solo gli apparecchi per aiutare a respirare durante il sonno.