la Repubblica, 24 dicembre 2018
Il fallimento della Hollywood cinese
Come a Hollywood, la prima cosa che noti è l’enorme scritta bianca sulla collina. Solo che questa è la periferia di Qingdao, placida metropoli appoggiata sul Mar Giallo, non Los Angeles. E quelli sulla collina quattro caratteri mandarini: Dong Fang Ying Du, Oriental Movie Metropolis. Sarà la pioggerella fredda che soffia dal mare, ma l’effetto è un po’ lontano dal sole della California. Solo ad aprile, all’inaugurazione, l’obiettivo dichiarato di questo enorme complesso cinematografico e residenziale realizzato dal colosso Wanda, spesa 8 miliardi di dollari, era far concorrenza agli iconici Studios. Convincere registi e divi americani a girare qui, attraccando il loro yatch alla marina costruita di fronte. Oggi la realtà è diversa: «Puntiamo a creare un nuovo standard per le produzioni cinematografiche cinesi – spiega Sun Hengqin, il presidente della Metropolis – rendendo ogni spesa calcolata e trasparente». Parole di chi deve far tornare i conti, non conquistare il mondo.
Tutto quello che poteva è andato storto, ecco il problema. Dopo mesi di shopping all’estero Wanda e il suo magnate Wang Jianlin sono stati invitati dal Partito a una precipitosa ritirata.Tra le 12 proprietà che hanno svenduto per rientrare dei debiti c’è Qingdao, finita all’altro colosso immobiliare Sunac. Le insegne “Wanda” campeggiano ovunque, bisognerà toglierle. Nel frattempo, ed è ancora più grave, sul cinema cinese è arrivato l’inverno. Lo scandalo Fan Bingbing, super stella pizzicata a firmare contratti in nero, ha spinto le autorità a varare una stretta di regole su un’industria cresciuta senza troppo badare al fisco. Tra ondate di panico, produzioni sospese e cancellate, a tutti è stato chiesto di autodenunciarsi e saldare il dovuto. Sui nuovi film sono stati imposti rigidi tetti di cachet. «Qui nessuna produzione è stata cancellata – assicura Sun – gli spazi sono occupati al 70%, da quattro film, per l’inizio del 2019 siamo quasi al completo».
Eppure aggirandosi per l’enorme complesso, 30 studi già aperti e altri dieci in arrivo, più gli alberghi per le troupe, l’attività sembra tutt’altro che frenetica. Nel teatro di posa 11 due solitari operai dipingono l’esterno di una vecchia casa cinese. Visitiamo un altro studio, vuoto. Poi la piscina riscaldata per le riprese acquatiche, la più grande d’Asia. Vuota, a parte il guardiano che scatta sull’attenti al passaggio. Dietro a un telone verde sono partite le riprese della grandiosa trilogia The Gods, risposta cinese al Signore degli Anelli. Sun spiega che gli studi dove le troupe lavorano per davvero non si possono vedere, che la maggior parte gira di notte. Ma anche a sera, quando una costellazione di lucette viola illumina la collina, non c’è movimento di camion, abiti, divi isterici, il solito circo del cinema. Da alcune porte si intravede qualche carpentiere all’opera. Sun parla di «4mila persone» al lavoro, oggi saranno qualche decina. Delle maxi coproduzioni cino-americane sognate da Wanda dopo l’acquisto dell’americana Legendary, produttore dei capolavori di Christopher Nolan, non c’è traccia. Forse è un caso, una giornata piatta. Ma la crisi è nei dati: a settembre in Cina sono state registrate solo 286 produzioni, rispetto a una media di 400 nei mesi precedenti.
Qualche giorno fa la Gilda dei registi ha pubblicato sui social una lettera aperta al governo (poi rimossa) definendo “ingiusta” la stretta. Le società del settore stanno fuggendo dai paradisi fiscali che il governo aveva creato, come Khorgas o Hengdian, sede di un altro enorme complesso di studios. «Noi permettiamo di recuperare il 40% dei costi di produzione sostenuti qui – spiega Sun – è un incentivo in linea con gli standard internazionali che possiamo erogare anche con le nuove regole». Ma secondo molti, proprio mentre il botteghino cinese supera per incassi quello americano, la gelata dureràalmeno tre anni: «Rispetto a Hengdian siamo una formichina – replica Sun – abbiamo già raggiunto il profitto operativo».
Profilo basso, la nuova linea di chi voleva sfidare Hollywood. Ma quando ti chiami “metropoli”, e lo sei, c’è poco da sminuire. A parte i teatri di posa, il resto del complesso si sviluppa su migliaia di metri quadrati, un’isola artificiale con auditorium per i festival, museo del cinema tipo Disneyland, alberghi di lusso, appartamenti, tutto nuovo di zecca e semideserto. Tra i 40 soci dello yatch club menzionano Jackie Chan, ma poi la hostess se lo fa scappare: «Non è mai venuto». Funziona giusto la scuola privata bilingue, stile tra Oxford e Hogwarts, costruita per i figli dei nuovi ricchi di Qingdao, 20mila euro per un anno di asilo.
Perfino al centro commerciale Wanda con i suoi tre parchi giochi ci sono più dipendenti che clienti. Fin dall’inizio gli scettici contestavano la posizione: inutile tirare su degli studios nel nulla, dove non esiste tradizione e indotto di cinema. «È come l’uovo o la gallina – ribatte il presidente – vogliamo attirare qui 50 piccole imprese del cinema, aprire una scuola per tecnici». La Cina spesso costruisce così, confidando che il suo travolgente sviluppo riempirà anche le cattedrali nel deserto.Prima però deve passare l’inverno.