Corriere della Sera, 24 dicembre 2018
Pamela Anderson & Ahmadinejad, influencer
Hanno rappresentato mondi contrapposti. Eppure oggi l’ex bagnina di Baywatch Pamela Anderson e l’ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad non sono così diversi. Perché quella che rappresentò un’icona della cultura pop a stelle strisce e colui che fu uno degli alfieri dell’antiamericanismo post rivoluzionario di Teheran sono entrambi diventati espressione del «caos globale».
Si prenda Pamela. Fatta salva la causa animalista, fa discutere la sua amicizia – «amore», dicono alcuni – con il fondatore di WikiLeaks Julian Assange. Balza agli occhi pure il suo attivismo digitale. Oltre a coltivare amicizie a Mosca (si narra di incontri con alcuni oligarchi e con il presidente Putin), Ms Anderson, appeso al chiodo il costume fiammante di C.J. Parker, è diventata una strana creatura a metà tra l’influencer e la lobbista. Quasi quotidianamente discetta su Twitter di politica e geopolitica. Una volta sono i gilet gialli e il presidente francese Macron. Un’altra i migranti e il Global Compact. Fino all’Italia, con il cinguettio che ha provocato le reazioni del vicepremier Matteo Salvini e del suo consigliere Luca Morisi.
Naif o donna intelligente che ha capito dove tira il vento? «Analizzando il suo profilo si intravede lo zampino di Mosca», ipotizza Alex Orlowski. A far sospettare l’esperto di marketing politico digitale diversi elementi. «In primis l’opportunità per il Cremlino di poter annoverare tra i suoi supporter un’ex icona del rivale statunitense». Ma c’è un secondo indizio che porta a Est. «I suoi tweet paiono il frutto di una strategia di cyber-warfare che diffonde contenuti divisivi per creare l’instabilità».
I dettami del generale Valery Gerasimov, capo dello Stato Maggiore russo e padre della strategia del caos, rimbalzano a Teheran. Qui, dopo essersi distinto da presidente per aver definito l’Olocausto un «mito», aver negato l’esistenza dei gay e aver messo al bando i social network in Iran, Ahmadinejad da marzo 2017, pare aver deciso di tentare la carriera di influencer. I temi sorprendono. Si va dalla maglia regalo di Diego Maradona e le canzoni del rapper Tupac, fino ai commenti sul football statunitense. Il tutto condito da una miscela di antiamericanismo, nazionalismo, misticismo, con l’aggiunta di un inglese incerto il cui risultato talvolta è comico.
Per Ahmadinejad è più difficile scorgere una regia esterna. L’attivismo digitale è più che altro il frutto di una mancanza di prospettive politiche. Quest’estate l’ex presidente iraniano si è inserito nel dibattito su una mise sfoggiata dalla tennista Serena Williams in campo. Estratto lesto lo smartphone, Mahmoud ha commentato «Perché #FrenchOpen non rispetta @serenawilliams? Sfortunatamente alcune persone in tutti i Paesi, incluso il mio, non hanno mai capito il vero significato della libertà».
Benzina sul fuoco che infiamma la società occidentale o pensieri resi pubblici ancor prima che prendano forma? Qualunque sia la risposta, il risultato non è dei migliori. Pamela, nonostante le interazioni sul suo account non ha una grande influenza politica. Mentre Mahmoud non ha ancora trovato una quadra per ottimizzare i suoi 84 mila follower. A dimostrazione che forse una manciata di tweet non è ancora in grado di condizionarci del tutto.