Corriere della Sera, 23 dicembre 2018
Brexit, che cosa succede se Londra ci ripensa
Theresa May, primo ministro del Regno Unito, non ha perso ogni speranza e cercherà di convincere il Parlamento britannico che l’accordo raggiunto con la Commissione, per l’uscita del suo Paese dall’Unione Europea, è la migliore delle soluzioni possibili. Ma approfitta delle feste per prendere tempo e non chiederà un voto alla Camera dei Comuni prima della metà di gennaio. Nel frattempo cercherà di persuadere i suoi avversari nel partito conservatore che l’accordo è meglio di un nuovo referendum da cui i paladini del Leave potrebbero uscire sconfitti. Se vincerà, resterà al governo, verosimilmente, sino alle prossime elezioni. Se perderà dovrà dimettersi e il nuovo governo dovrà prepararsi a una «hard Brexit», un percorso rischioso, pieno di complicati imprevisti. Comincerà allora una fase in cui il problema non sarà esclusivamente britannico e anche l’Unione Europea dovrà avere una strategia. Credo che convenga fare sin d’ora qualche ipotesi. Se Theresa May dovrà dimettersi, la prospettiva di un secondo referendum diventerà sempre più concreta. Vi è certamente una parte importante della Gran Bretagna che non desidera trasformare la «madre dei parlamenti» in una democrazia referendaria. Ma vi sono anche personalità politiche ed elettori ormai convinti che le esperienze degli ultimi mesi e le preoccupanti previsioni di molti economisti abbiano modificato il rapporto di forze tra i paladini del Leave e quelli del Remain. Dobbiamo prepararci quindi alla possibilità che la Gran Bretagna torni alle urne e rovesci la decisione del referendum precedente. Che cosa farà il suo governo? Non sarei sorpreso se gli inglesi, in questo caso, tentassero di rientrare nell’Unione alle stesse condizioni di cui godevano prima di uscirne, con tutti i trattamenti eccezionali che il governo britannico aveva strappato ai suoi partner. Ma la Commissione potrebbe opporsi ricordando che un articolo dei trattati europei (il 49) richiede, in questi casi, un nuovo negoziato. Esiste tuttavia un altro testo giuridico cui gli inglesi potrebbero ora ricorrere. Un tribunale del Regno Unito, sollecitato da alcuni parlamentari inglesi, scozzesi e europei sulla possibile revoca della decisione presa nel marzo del 2017 (quando annunciò ufficialmente la sua decisione di uscire dall’Ue), ha dichiarato che una revoca unilaterale è possibile e legittima. La Corte di giustizia europea ha confermato con una delibera dell’8 dicembre che Londra avrebbe effettivamente il diritto di tornare sui suoi passi a una condizione: che la revoca avvenga entro due anni dalla decisione di uscire, vale a dire prima del 29 marzo 2019. Se questo accadesse avremmo perso due anni e parecchi milioni di euro per un negoziato inutile. «Molto rumore per nulla», come avrebbe detto Shakespeare; ma anche la dimostrazione di quanto sia difficile fare a pezzi l’Unione Europea.