la Repubblica, 23 dicembre 2018
I libri di sport per Natale
Non succede tutti i giorni che siano squalificati 25 giocatori della stessa squadra, che è la Juve. I giocatori sono quelli dell’Under 15. La notizia della squalifica, una giornata a tutti, è di questa settimana, ma i fatti risalgono all’11 giugno. Non sono pochi sei mesi, d’altra parte ho rinunciato a capire i tempi della giustizia sportiva. Il succo: dopo la vittoria per 3-0 sul Napoli, che valeva l’accesso alla finale, poi vinta dall’Inter, i giovani juventini fanno festa a modo loro, cioè cantando in coro quella scemenza che ha per ritornello “Abbiamo un sogno nel cuore, Napoli usa il sapone”. Cantano nel loro spogliatoio, dunque in casa loro, come amano dire alla Juve anche quando c’è da fare il conto degli scudetti vinti. Se tutto restasse chiuso lì dentro, non sarebbe il massimo dell’eleganza ma nemmeno ci sarebbero gli estremi per una squalifica. Ma uno dei giocatori ha l’idea geniale, posta il filmato su Instagram, scrivendo anche il titolo: “C’è ne andiamo in finale”. Il titolo dimostra che in questa squadra non sono carenti solo nel fairplay ma anche in italiano. Reso pubblico, il coro costituisce violazione dell’articolo 1 bis del codice di giustizia sportiva, che prevede l’obbligo di comportarsi “nel rispetto dei princìpi di lealtà, probità e correttezza”. Probità è parola obsoleta, mentre lealtà e correttezza sopravvivono non solo nei vocabolari. Multata ora di 6mila euro, la Juve ai tempi aveva pensato di punire i giocatori rinunciando a giocare la finale, soluzione che fu poi scartata. Infatti era una buona soluzione. Il breve filmato è ancora in rete, preceduto da ampie scuse. Un classico, ormai. Come scrive il Foglio di ieri “il mantra delle video-scuse, fingendo di crederci”. Un classico che accomuna Macron e Cutrone, Di Maio padre e Fedez, Dolce&Gabbana e Salvini. Il selfie di Salvini con uno dei boss della curva milanista (condannato, non solo diffidato, come sosteneva in un primo tempo Salvini) non avrà fatto molto piacere alle forze dell’ordine, ma volete che un ministro dell’Interno faccia mentalmente 2 più 2? Che non sappia dei rapporti tesissimi, quasi in tutte le città italiane, tra forze dell’ordine e ultrà? Se non altro ha evitato di presentarsi alla festa con una delle felpe che usa di più, quelle con su scritto “Polizia”. Più che ministro dell’Interno sembra un ministro dell’Intorno. Intorno ha sempre qualcuno di sbagliato. Sarà finita la pacchia ma è cominciata una persecuzione molto vagamente ammantata di legalità. Open Arms, che si ritrova con 311 migranti ma senza un porto dove sbarcarli, fa sapere a Salvini che un giorno i suoi figli si vergogneranno di lui. Open Arms sbaglia di grosso: non occorre essere figli di Salvini, o parenti, per vergognarsi di lui.Non succede tutti i giorni che un allenatore di Massa alleni la Carrarese. Lì il campanile conta ancora parecchio. Non succede tutti i giorni che un allenatore alleni gratis e che la squadra stia lottando per la promozione. In squadra, illustri calciatori anzianotti, o diversamente giovani, tutti passati da Empoli: Maccarone, Tavano, Marchionni, Coralli. In panchina Silvio Baldini. Sempre in tema di scuse, qualcuno ricorderà il calcio che Baldini rifilò nel sedere di Mimmo Di Carlo. In diretta tv: Parma-Catania, prima partita del campionato 2007/2008. Squalifica di cinque giornate. La domanda, su Avvenire di ieri, è inevitabile: oggi rifarebbe quel gesto? Risposta: «Eccome se lo rifarei. Il porgi l’altra guancia mi appartiene per educazione cattolica, ma nella vita ho imparato che se vieni provocato devi difenderti. E quella volta ho sferrato il calcione solo dopo essere stato pesantemente provocato». Mai più rivisti, con Di Carlo? «Ci invitarono una sera, tempo fa, in un teatro, ma è stata una pagliacciata». Come essere silurato da Zamparini col Palermo terzo in classifica. Ne avrebbe da raccontare.
Qualche libro, sotto Natale. Enzo D’Orsi, che sulla notizia era un cane da tartufi, ha scritto “Gli undici giorni del Trap"(ed.Incontropiede, prefazione di Roberto Beccantini, lunga intervista finale a Marco Tardelli). Quei giorni, dall’ultima di campionato alla finale di Atene persa con l’Amburgo, D’Orsi li racconta immedesimandosi in Trapattoni. Ne esce un’analisi amaramente lucida. Giovanni Chianelli e Angelo Pisani hanno scritto “Raiola. Per i nemici Mino” (ed. Log) biografia in chiave satirica in cui è difficile separare la realtà dalla fantasia. Gian Paolo Ormezzano e suo figlio Timothy hanno scritto “La Bibbia della fede granata” (ed. Sperling & Kupfer). Il cognome è già una garanzia. Luigi Garlando ha scritto “Il mestiere più bello del mondo. Faccio il giornalista” (ed. Rizzoli). È un libro per ragazzi ed è utile per come suggerisce di fare le interviste, o seguire le partite. È un libro nostalgico: l’ingresso di Luigi in Gazzetta, come il mio, oggi è difficilmente immaginabile nei tempi, nei modi e anche nelle persone. Ma è anche un bel libro, fitto di riferimenti personali, di consigli, di fiducia. Il giornalismo non morirà mai, scrive. Lo spero, ma i giornali stanno maluccio. Briciole di cronaca: Pellissier, quasi 40 anni, partita in A numero 450. Che partita, e che gol all’Inter: voto 8.