La Stampa, 23 dicembre 2018
Intervista al designer Axel Vervoordt
Axel Vervoordt è un designer belga, collezionista e curatore, con una clientela globale. I suoi due figli sono a capo di cinque diverse aziende familiari: Boris segue l’arte e l’antiquariato, la decorazione di interni e le collezioni per la casa, mentre Dick è al timone delle operazioni immobiliari. Axel e sua moglie May ispirano e guidano queste attività con le attività no profit della Fondazione Vervoordt e promuovono il mecenatismo musicale e artistico attraverso Inspiratum.
Qual è stato il punto di svolta del suo successo?
«Nella mia vita ci sono stati tanti punti di svolta. Ho iniziato molto presto. Quando avevo 21 o 22 anni su suggerimento di mia madre ho acquistato il Vlaeykensgang, una strada pedonale medievale fiancheggiata da piccole case. Il restauro di queste case mi ha dato preziose lezioni sull’architettura e sul valore della memoria. In seguito, nel 1977, in occasione di un anniversario speciale per Rubens ad Anversa, mia moglie May ed io organizzammo una festa rinascimentale che segnò un vero punto di svolta nelle nostre relazioni con amici e clienti. Nel 1982, ho partecipato alla mia prima grande fiera internazionale a Parigi per la Biennale degli Antiquari che mi ha permesso di entrare in contatto con la clientela internazionale. Nel 1984 abbiamo comprato il Castello di ’s-Gravenwezel dove viviamo. Nel 1997, con l’aiuto dei nostri figli, abbiamo trovato e acquistato il sito Kanaal e Boris e Dick hanno contribuito a rendere la nostra attività più ampia e internazionale. Nel 2004-2005, la scoperta degli artisti del Movimento Gutai mi ha cambiato la vita portandomi a curare la mostra Artempo: Where Time Becomes Art, a Palazzo Fortuny a Venezia nel 2007 da cui sono seguiti 10 anni di mostre a Venezia».
Il suo gusto è europeo o globale?
«Sicuramente globale, ma non saprei nemmeno definirlo. Cerco l’armonia. I legami senza tempo, le connessioni tra Oriente e Occidente. Voglio capire dove tutto si connette. Quando sono in Giappone o in Corea, cerco ciò che può ispirare il mondo occidentale e viceversa. Per creare un futuro, dobbiamo capire cosa condividiamo, piuttosto che ciò che ci divide. Sento la responsabilità di aiutare questo processo con l’evoluzione dello stile e del gusto».
Com’è cambiato il suo gusto nel corso degli anni?
«Non sono sicuro che sia cambiato. È un’evoluzione, piuttosto. Fin dall’inizio della mia carriera, mi sono interessato alle opere del movimento Zero e ad artisti che hanno esplorato i concetti del vuoto. Così sono entrato in contatto con l’opera di Lucio Fontana. Allo stesso tempo mi sono occupato degli artisti asiatici, che esplorano lo spazio vuoto, la meditazione e la materialità. Questo era, per me, l’anello mancante nel mio amore per l’arte antica. Tengo sempre gli occhi aperti per provare, sentire e scoprire cose nuove e cerco di trovare il modo migliore per condividere la mia esperienza con il pubblico».
Non ha mai voluto un negozio, perché?
«Ho sempre desiderato vivere con le cose che amo e creare un mondo privato, spazi miei in cui poter invitare amici e clienti».
Cosa vuol dire vivere in un castello?
«Gravenwezel ha quasi mille anni, risale all’XI secolo. I suoi spazi fanno rivivere questa storia così antica. Per me è importante che ogni stanza abbia il suo carattere unico, che dipende dall’architettura e dalla luce. Mi piace viaggiare in una casa, passare da un tipo di atmosfera a un’altra. Abbiamo una biblioteca piena di oggetti d’arte, una sala da pranzo blu e bianca e una vecchia cantina con un grande tavolo perfetto per cenare sia in estate che in inverno».
Qual è la sua concezione di arte decorativa oggi?
«Non mi è mai piaciuta l’idea dell’arte decorativa fine a se stessa, è troppo superficiale. Mi piace la buona architettura, la buona arte e ciò che rende la vita confortevole. Mi piace qualcosa che sia senza tempo e allo stesso tempo molto contemporaneo».
Da dove inizia a progettare una stanza? Colore, luce, mobili, tessuti?
«Comincio con le persone che vivranno lì. Per me è molto importante studiare il loro modo di vivere e creare spazi che li renderanno felici. Per quel che riguarda gli oggetti, sono attratto dalle cose che invecchiano, che hanno carattere. Inizio con il materiale e poi provo a creare qualcosa con una buona proporzione. Ma soprattutto affronto ogni pezzo con lo stesso sentimento di rispetto. Adatto il mio design al legno. Non ho mai adattato il legno al mio progetto».
Cosa l’ha colpita recentemente?
«Sono stato sul Monte Athos in Grecia ed è stato molto stimolante. L’architettura dei monasteri è impressionante. Poi, amo il Monastero di Sainte-Marie de la Tourette di Le Courbusier. Un altro mio favorito è il Sagawa Art Museum di Moriyama, in Giappone, appena fuori Kyoto, in particolare il padiglione Raku-Kichizaemon-kan. Ha spazi oscuri e misteriosi, molto stimolanti».
E’ rimasto ad Anversa per motivi familiari o perché è un luogo speciale e creativo?
«La mia famiglia è di Anversa e ne sono orgoglioso. E sa perché? Non c’è traccia di sciovinismo. I francesi sono molto francesi, gli spagnoli sono molto spagnoli, gli inglesi sono molto inglesi. Invece Anversa, in quanto città portuale, è molto aperta al mondo. È il vantaggio di avere un grande porto: crea un senso di accoglienza e uno spirito aperto».
Sua madre e poi sua moglie sembrano persone chiavi nella sua evoluzione è così?
«Sì, l’amore e l’incoraggiamento di mia madre mi hanno aiutato fin dall’inizio. Ha sostenuto i miei viaggi da adolescente. Mi ha aiutato a scoprire il Vlaeykensgang e subito dopo ho incontrato May, lavoro con lei e i miei figli e siamo felici di lavorare insieme. Oguno di noi ha una propria specialità: May si occupa di tessuti, arredi, oggettistica. Boris, il primogenito, è a capo di tutta la parte artistica e Dick guida i progetti immobiliari. Insieme siamo forti e May e io siamo grati di avere due figli fantastici e dotati».
Se dovesse descrivere in poche frasi la sua filosofia estetica, come la definirebbe?
«Ricerca di atemporalità e armonia. Rispetto per l’architettura e la purezza delle proporzioni. Ricerca senza fine di bellezza, scoperta e qualità».
(traduzione di Carla Reschia)