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 2018  dicembre 23 Domenica calendario

Mahmood, italiano vero: «La mia musica senza rancore nasce all’incrocio di due mondi» Roberto Pavanello

Nome italiano: Alessandro; cognome esotico: Mahmoud. Madre sarda e padre egiziano. È milanese doc, «italiano al 100 per cento». Mahmood (questo il nome che si è scelto sulla scena), 26 anni, voce di seta e suoni contemporanei che danno vita a una produzione trans-genere: «Quando me lo chiedono non so mai se collocarmi nel pop, nell’indie o nel rap. Non mi voglio catalogare, chiudermi in uno scaffale, la musica è tante cose. Il mio è un pop strano, l’ho definito “marocco-pop” perché nei miei pezzi c’è un’influenza araba. C’è anche in Gioventù bruciata, che ho cantato a Sanremo: ho campionato la mia voce nell’intro e anche alla fine del pezzo». 
È proprio Gioventù Bruciata il brano che gli ha fatto staccare il tagliando per il Festival dei grandi, dal 5 al 9 febbraio. Ha conquistato la giuria degli esperti capitanata da Claudio Baglioni, quella di qualità di Sanremo Giovani (Mannoia, Barbarossa, Annalisa, Luca e Paolo) e i telespettatori che hanno votato da casa. E si è meritato anche il Premio della Critica assegnato dai giornalisti. 
Al centro della canzone c’è il rapporto con il padre: Mettevi in macchina le tue canzoni arabe / stonavi e poi mi raccontavi vecchie favole / correvi nel deserto con lo zaino Invicta / ma non serve correre se oltre ai soldi non hai più fiato né felicità. «Canto del senso di vuoto che crea la mancanza di una persona cara - spiega lui - e come si riesca a convivere con questa assenza per giorni, mesi e anni». Come ha reagito il papà? «Non so se l’abbia ascoltata, in questi giorni non sono riuscito a sentire parenti o amici». Chi invece l’ha sentita, e bene, è stata la mamma: «Certo che sì, è venuta qui a Sanremo a fare il tifo».

Einar, nuova proposta da Cuba
Il fatto che Einar, l’altro giovane che parteciperà al Sanremone, sia arrivato in Italia da Cuba a nove anni, ha dato spazio a una riflessione e una presa d’atto: eccoli i nuovi italiani. Baglioni ha parlato di «bubbone dell’immigrazione scoppiato per l’incapacità della classe politica». Un problema che - dice Mahmood - «non si risolve, non lo risolve nessuno. E abbiamo già perso almeno 25-30 anni». Però «la musica non ha questo rancore dentro, perché finalizzata al raggiungimento della bellezza e dell’armonia». 
E sicuramente Mahmood non vuole essere simbolo di nulla: «Essendo nato e cresciuto a Milano, io mi sento un italiano puro. Anche se magari non è del tutto vero, perché le origini sono importanti. E nella mia infanzia-adolescenza ho avuto modo di approcciare il mondo paterno. Non parlo arabo, ma sono stato in Egitto due volte. E vado anche spesso in Sardegna. Diciamo che le mie origini sono fuse molto bene in me». 

Fabri e Gue maestri rapper
Così come in lui sono fuse almeno due anime musicali: «Ascolto musica trap e rap come i ragazzini, i cantautori come gli adulti. Forse sono un incrocio di questi due mondi». Lavora con Ceri (con il quale ha scritto Gioventù bruciata) produttore di Frah Quintale, Franco126, Jack The Smoker, Coez, Salmo, ha collaborato con Fabri Fibra e Gue Pequeno e scritto per Marco Mengoni, ai tempi di X Factor dicevano che gli somigliasse. Era il 2012, venne eliminato al terzo live: «Di quel ragazzo è rimasta la voglia di fare musica». Che i colleghi apprezzano: «Fabri e Gue sono i miei padri rapper. Il primo, in particolare, ha creduto subito in me, quando avevo fatto un solo singolo, Dimentica, con cui avevo partecipato a Sanremo Giovani». 
In quel Festival, datato 2016, arrivò quarto nelle nuove proposte, dietro ad Ermal Meta, Chiara dello Iacovo e Gabbani. Tre anni dopo ha un’altra chance, stavolta accanto a personaggi come Nino D’Angelo, Patty Pravo e Loredana Bertè: «Comincio a realizzare solo adesso cosa sta succedendo. Mi fa molto strano pensare che sarò in gara con loro. Voglio far vedere cosa so fare: sono orgoglioso del pezzo che porterò, vada come vada, ce la metterò tutta».