La Stampa, 23 dicembre 2018
Gli oligarchi russi sbarcano in Umbria
Un caso. È solo un caso che le famiglie di due oligarchi russi di primo piano abbiamo preso due castelli nel cuore verde dell’Umbria a pochi chilometri l’uno dall’altro, che fino a pochi anni fa erano parte della stessa antica proprietà. Come è un caso che in mezzo tra i due castelli ci sia il campo da golf dove (ogni tanto) gioca il presidente della Bce Mario Draghi.
Anzi, facciamo che gli oligarchi sono tre. E che almeno due siano, o siano stati, molto vicini al presidente russo Vladimir Putin.I proprietari dei castelli sono in realtà la seconda generazione. I figli di due nomi molto noti del potere russo adesso entrambi basati a Londra. È vero che i protagonisti di questa storia sono piuttosto diversi tra loro. Uno è Andrei Yakunin, figlio di Vladimir, ex boss delle ferrovie russe nonché storico amico del presidente russo.
L’altro è Evgeny Lebedev, editore dell’Indipendent e dell’Evening Standard e figlio di Alexander Lebedev. Formatosi nel Primo Direttorato del Kgb - quello che si occupava delle attività di intelligence all’estero - e diventato poi negli anni ’90 multimiliardario tra banche e pezzi di imprese privatizzate con il collasso dell’Unione Sovietica. Alexander è stato anche socio della Novaya Gazeta, il giornale di Anna Politkovskaja nonché il più critico contro lo zar Putin.
Ma è stato, nel corso della sua carriera politica, vicino anche alle posizioni di Russia Unita, il partito di Putin. Il terzo si chiama Ruben Vardanyan, ma lo vedremo dopo.
L’amore per l’Italia
Alessio Carabba Tettamanti, avvocato romano e socio di Antognolla spa (che fa riferimento al fondo d’investimenti di Yakunin) e di Santa Eurasia srl (che è di Lebedev), la spiega così: «Evgeni è un mio amico, innamorato dell’Italia e dell’Umbria, che qualche anno fa ha deciso di investire qui, ristrutturando il castello di Procopio». Che nulla c’entra con Antognolla: «Un progetto d’investimento» per trasformare quello che era un rudere in un resort di lusso. Un progetto impegnativo, anche finanziariamente, per la riqualificazione di una struttura importante.
Carabba Tettamanti, che è anche ex presidente del Golf Club di Antognolla - diciotto buche tra prati sterminati e boschi incontaminati - nonché proprietario della tenuta che sta in mezzo ai due castelli, compresi i cinque chilometri di strada che li collegano evitando un giro di quasi venti chilometri per passare dall’uno all’altro, assicura che i due progetti nulla c’entrano l’uno con l’altro.
Il castello di Procopio, di proprietà della Santa Eurasia (nome evocativo, per gli appassionati del riavvicinamento tra Russia e Occidente, ma di certo un caso, dato che è il nome della chiesa che si trova nella proprietà) dopo la ristrutturazione curata da un architetto britannico di grido, è diventato una struttura ricettiva di lusso. Ma di tipo completamente diverso da quello che diventerà Antognolla una volta terminati i lavori. Appena otto camere nel castello medievale sulle pendici del Monte Tezio. Che solo per arrivarci - non potendo passare per la strada privata descritta sopra - serve non solo un navigatore ma anche una grande fiducia nella sua precisione. Carabba assicura anche che i due, per quanto ne sa, neppure si conoscono.
L’intreccio societario
Come non sa, Carabba, che il fondo Viy di Yakunin ha un socio. Si tratta di Vardanyan, russo di origine armena, anche lui molto ricco ma, assicura nelle interviste, meno di quanto gli attribuisca la rivista Forbes. Filantropo, molto attivo nel sociale, il percorso per arrivare a lui da Antognolla è lungo e complicato. Vardanyan è promotore di New Dimension Fund, che controlla una società cipriota - Nd White - che a sua volta è socia di Northern Lights, società lussemburghese che controlla Antognolla spa con il 93%.
Il resto, cioè il 7%, è di Carabba Tettamanti. Il controllo di Northern Lights è del fondo Viy, tramite una società delle Isole vergini britanniche.
L’unica macchia su Vardanyan risale al 2016, quando una lunga inchiesta del Consorzio per il giornalismo investigativo (Icij), basata sui documenti dei «Panama papers», rivelò almeno in parte gli affari personali di Putin.
In uno di questi - il passaggio del controllo del produttore di camion Kamaz, utilizzati anche dall’esercito russo - ebbe un ruolo anche, secondo i documenti dei Panama papers, proprio Vardanyan. Un caso, forse.
Di certo Vardanyan è molto vicino a Yakunin padre. I due sono promotori del Dialog of Civilization Research Institute (Doc) di Berlino. Un istituto di ricerca che si propone di sviluppare il dialogo e la risoluzione dei conflitti. Ma che secondo i suoi detrattori sarebbe solo un megafono «accademico» per la «propaganda del Cremlino».
Di certo c’è anche che Alexander Yakunin è amico di lunga data di Vladimir Putin. L’ex capo delle ferrovie russe - incarico lasciato nel 2015 -, sanzionato da Usa e Australia dopo l’annessione della Crimea, è uno dei soci della «Cooperativa Ozero», il consorzio dei proprietari delle dacie sul lago Komsomolskoye, non lontano da San Pietroburgo, secondo i media occidentali il «cerchio magico» di Putin.