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 2018  dicembre 23 Domenica calendario

Putin e Xi mostrano i muscoli

Platee imponenti, discorsi-fiume, esaltazione della leadership personale, attacchi duri all’America ed all’Occidente nonché una marcata attenzione a celare errori e debolezze in casa propria: i recenti interventi pubblici di Xi Jinping e Vladimir Putin evidenziano una convergenza di metodo e contenuti nell’esaltare il modello autocratico per sfidare a viso aperto le democrazie in affanno.
Partiamo dal metodo di comunicazione. Xi ha parlato per un’ora e mezzo davanti a circa 3000 delegati del Partito comunista cinese riuniti nell’imponente Sala del Popolo e Putin per oltre quattro ore a 1700 giornalisti, russi e stranieri, nella cornice del Cremlino. In entrambi i casi con dirette tv e ampia copertura social e digitale. Ovvero, a Pechino come a Mosca, una cornice di immagine tesa ad esaltare la centralità assoluta, incontrastata, del leader come caratteristica identitaria del proprio modello politico e della conseguente proiezione internazionale. Non c’è alcun dubbio sul fatto che la Repubblica popolare cinese sia un regime monopartito dal 1949 e la Federazione russa sia nelle salde redini del partito di Putin dal 2000 ma ciò che colpisce è la volontà di esaltare queste forme di autocrazia al fine evidente di attestarne la superiorità rispetto al maggiore rivale sulla scena globale: la democrazia rappresentativa dell’Occidente. Tanto più Europa e Stati Uniti hanno sistemi politici indeboliti, leader incerti e vulnerabili, Parlamenti paralizzati ed inefficaci, tanto più le maggiori autocrazie del Pianeta puntano a sfruttare la comunicazione di massa per vantare la loro superiorità. Perché si tratta, anzitutto, di una sfida globale fra modelli di Stato e governo alternativi, rivali.
Poi veniamo ai contenuti. Xi difende con orgoglio l’identità «socialista» della Cina, come espressione di un passato millenario, accusa l’Occidente di volerla mettere in discussione, assicura di non intendere «sottomettere alcun Paese» e tace sul rallentamento della crescita, sulla violazione dei diritti delle minoranze, sul divieto di dissenso politico, sul massiccio controllo delle comunicazioni personali e sul misterioso arresto del capo dell’Interpol. Putin invece accusa gli Stati Uniti di voler la «guerra nucleare», irride il ritiro di Donald Trump dalla Siria dicendosi «d’accordo», rimprovera al presidente francese Macron di aver causato la rivolta dei «gilet gialli» aumentando il prezzo della benzina, sprona i britannici a «rispettare il volere del popolo» sulla Brexit e rivendica con energia il sequestro di tre navi ucraine nel Mar Nero al fine di dimostrare che è la propria versione dell’ordine internazionale - frutto di intrusioni cibernetiche in Occidente, violazioni di sovranità in Ucraina, sviluppo di nuovi armi nucleari e interventi militari in Siria a favore di un sanguinario dittatore - che si sta realizzando con indubbia efficacia sotto i nostri occhi. Vantare tali e tanti successi lo spinge perfino a rimproverare alle democrazie occidentali di applicare un «doppio standard» perché hanno reagito «solo a parole» al brutale omicidio del giornalista Jamal Khashoggi da parte dei sauditi nel consolato di Istanbul mentre hanno varato «sanzioni» alla Russia per l’attacco all’ex spia Sergei Skripal in Gran Bretagna «che non è morto». Come dire: noi i dissidenti li avveleniamo soltanto, non li facciamo a pezzi, ma l’Occidente ci punisce di più solo per partito preso.
La lettura comparata di parole e messaggi di Xi e Putin porta a dedurre che entrambi si sentono dalla parte vincente della Storia, vedono nei movimenti populisti il sintomo dell’inesorabile declino delle democrazie liberali ed offrono agli Stati indeboliti dell’Occidente di affidarsi a loro per fare business o ricevere garanzie di sicurezza. La loro scommessa è, in ultima istanza, sulla possibilità di raccogliere la resa del modello rivale, incassandone i frutti, strategici ed economici. Resta da vedere se e come le democrazie comprenderanno e sapranno reagire a questa temibile sfida.