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 2018  dicembre 23 Domenica calendario

L’ax ad del Milan faceva pedinare i giornalisti

Un dossier da film di spionaggio, all’interno di una vicenda, quella del Milan cinese, che già si era caratterizzata per essere un thriller ad alta tensione. È il contenuto scritto, nero su bianco, nel voluminoso dossier che è stato presentato dal Milan, sotto la nuova gestione del gruppo finanziario americano Elliott, nella causa al Tribunale del Lavoro contro l’ex amministratore delegato Marco Fassone: causa che sembrava soltanto economica (con Marco Fassone intenzionato a chiedere una liquidazione di 10 milioni di euro contro i 2 milioni offerta dal nuovo azionista del club rossonero) e che ora diventa invece un vero caso mediatico e dalle tinte fosche. 
Il dossier del Milan presentato al Tribunale di Milano nella causa che vede come controparte l’ex ad Marco Fassone, punta l’indice contro presunte azioni sistematiche di spionaggio. A quanto riportato nelle carte, Fassone incarica tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018 un’agenzia investigativa, la Carpinvest, di effettuare attività di protezione del brand (ad esempio contro la contraffazione), bonifica ambientale presso “Casa Milan”, ma anche attività di controllo verso i dipendenti su smartphone e tablet oltre che pedinamento, da mattina a sera, di alcuni giornalisti.
A essere spiati e pedinati erano 4 giornalisti di testate nazionali: Carlo Festa del Sole 24 Ore, Luca Pagni ed Enrico Currò di Repubblica e Tobia De Stefano di Libero Giornale, spiati e pedinati per 11 giorni consecutivi (dal 19 febbraio 2018 al 2 marzo 2018). Tutto questo per spese complessive di poco meno di 74mila euro. Tanto che proprio il Milan ora, con riferimento a specifiche fatture, le contesta, in quanto le attività commissionate a Carpinvest «non risultano pertinenti allo specifico business aziendale nonché svincolate da qualsivoglia esigenza di tutela del patrimonio aziendale». 
Ma anche la gestione finanziaria dell’amministratore delegato Marco Fassone viene criticata in più punti nel dossier del Milan, per giustificare il licenziamento per giusta causa avvenuto nell’estate scorsa. 
Dal canto suo Marco Fassone proprio qualche giorno fa ha deciso di fare causa al club, sotto la nuova gestione Elliott, per gli attacchi e la diffamazione nei suoi confronti. Fassone, a sua difesa, rivendica infatti di aver gestito correttamente il club rossonero e di aver conseguito risultati in linea con quanto previsto dal piani industriali, ad eccezione dei ricavi preventivati in Cina, area quest’ultima che non era però di sua competenza. L’avvocato di Fassone, Francesco Rotondi, non commenta il dossier, ma afferma che «Marco Fassone non è coinvolto con le attività di spionaggio e che l’udienza in tribunale dimostrerà anche questo risvolto». Ora sarà il giudice del tribunale del Lavoro di Milano, Luigi Pazienza, a decidere chi ha ragione.

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Tutto inizia da un’attività di controllo del nuovo Milan targato Elliott. Nel mese di luglio 2018 risultava, tra i solleciti di pagamento pervenuti al club, anche uno di fatture ancora inevase da parte della società Carpinvest. Inizia così la vicenda oggi sotto i riflettori per il dossier presentato al Tribunale di Milano. L’attività di controllo successiva ha portato a svelare le motivazioni delle spese per circa 74mila euro. Tra le note di pagamento, c’è la fattura numero 134 del 31 marzo 2018, pari a un importo complessivo di 73.932 euro, risultata essere stata ammessa a fronte dello svolgimento di attività investigative, da parte appunto di Carpinvest.
A essere a conoscenza di questa attività, secondo le carte, erano Marco Fassone e alcuni alti dirigenti del gruppo rossonero. Secondo la ricostruzione proprio l’ex ad, a gennaio 2018, incontra i responsabili dell’agenzia investigativa e fa presente agli stessi la necessità di intervenire urgentemente a fronte della «fuoriuscita continua di dettagli economici e piani industriali del Club sulla carta stampata». Incaricando, quindi, Carpinvest di avviare le relative attività investigative. «A tal fine è stata proposta un’indagine complessa atta a eliminare i dubbi persistenti sia sul fronte carta stampata e relazioni con personale di Ac Milan, sia sulla possibilità che gli ambienti di Casa Milan e le utenze telefoniche mobili potessero essere oggetto di intercettazione».
Comincia così, secondo l’atto d’accusa del Milan nei confronti del suo ex ad Marco Fassone, l’attività di spionaggio verso alcuni dei maggiori giornali nazionali e i loro cronisti: Il Sole 24 Ore, Repubblica e Libero. Cominciavano i pedinamenti per 11 giorni dei giornalisti con 2 auto e 4 operatori. 
Ma non è tutto: iniziava anche un’altra attività di intelligence su dipendenti del club, che in qualche modo potessero essere considerati “le talpe” della stampa. Venivano copiati i dati di smartphone e computer, riversati in duplice copia all’interno di un hard disk al fine di analizzare i file contenuti. «Il dottor Fassone – recita il dossier – incaricava Carpinvest di effettuare attività di digital forensics su smartphone e tablet del personale dirigente».
Inoltre «nel contesto delle verifiche interne» recita il testo, in data 20 ottobre 2017 veniva inviata «a Telecom Italia una richiesta di documentazione relativa alle comunicazioni effettuate da quattro utenze telefoniche aziendali nel periodo temporale compreso tra l’11 settembre 2017 e il 15 ottobre 2017». In particolare la richiesta veniva formulata con riferimento al traffico «in uscita nonché – solo formalmente – motivata da finalità volte alla verifica di addebiti irregolari da parte del gestore». Tuttavia, spiega l’atto, non vi era alcu