Il Sole 24 Ore, 23 dicembre 2018
Il Governo Usa si blocca, trattativa a oltranza sul budget
Congresso e Casa Bianca cercano una via d’uscita con negoziati a oltranza dall’impasse sul budget, che da ieri ha fatto scattare la parziale chiusura del governo americano gettando nello scompiglio nove ministeri e affliggendo 800mila dipendenti federali. Una paralisi divenuta l’ultimo sintomo del clima di alta tensione che sempre più assedia l’amministrazione di Donald Trump.
L’impasse è il risultato del duro scontro esploso tra il presidente e l’opposizione democratica sulla costruzione di un muro anti-immigrati al confine con il Messico. Trump insiste su nuovi fondi, oltre 5 miliardi, per una barriera fisica cavallo di battaglia della sua Casa Bianca; i democratici offrono 1,3 miliardi e forse più per misure di sicurezza senza però alcun muro definito inutile e xenofobo. Il leader del Senato, il repubblicano Mitch McConnell, ha dichiarato che le trattative riprese tra le parti sono «costruttive» ma ha avvertito che «non ci saranno voti fino a quando il presidente e i leader democratici non avranno raggiunto un accordo». Il democratico Chuck Schumer ha ribadito di essere pronto a intese ma non al muro. Qualunque compromesso richiederà poi una convocazione del Congresso entro 24 ore per essere approvato.
Lo shutdown non è l’unico dramma a consumarsi nel governo e tra le istituzioni statunitensi. Le ultime ore hanno visto l’escalation dello scontro tra Trump e la Federal Reserve. Il presidente sta considerando il “licenziamento” del chairman della Fed Jerome Powell, mossa che non è chiaro abbia l’autorità di portare a termine e che i suoi stessi consiglieri ammoniscono potrebbe scatenare terremoti a Wall Street e nel mondo del business. Trump accusa Powell di “follia” e danni ai mercati per aver proseguito finora la sua manovra di graduali rialzi dei tassi di interesse. Ma la Borsa – che riaprirà domani gli scambi con i nervi scoperti, reduce dalle peggiori perdite settimanali in dieci anni e sull’orlo di un mercato ribassista dell’Orso – rischia adesso di finire sotto pressione anzitutto per la spirale di controversie nell’amministrazione. Una spirale aggravata anche dalle dimissioni-shock del segretario alla Difesa James Mattis in protesta contro il ritiro delle truppe americane dalla Siria. Esempio seguito ieri dall’inviato speciale della Casa Bianca nella coalizione anti-Isis Brett McGurk, che avrebbe dovuto lasciare in febbraio.
Lo shutdown federale per esaurimento dei fondi e mancata nuova legge finanziaria – che in tutto colpisce un quarto delle attività governative – è scattato alla mezzanotte di venerdì dopo vani colloqui in extremis tra il vicepresidente Mike Pence e i leader dell’opposizione. Il Senato aveva in realtà raggiunto un accordo bipartisan per sostenere temporaneamente il governo fino a febbraio senza il muro, ma Trump, dopo aver suggerito flessibilità, l’ha bocciato, appoggiato alla Camera dalle correnti ultra-conservatrici.
L’impatto economico dello shutdown appare al momento limitato, attenuato dal periodo festivo e stimato in 1,2 miliardi alla settimana. Dagli anni 80 sono avvenuti almeno 12 shutdown di diversa entità, due brevi solo all’inizio di quest’anno. Oggi però pesa la crisi politica, d’immagine e credibilità del governo e minaccia di diventare di per sé preoccupante in assenza di rapide soluzioni. La paralisi, più in dettaglio, riguarda 420mila dipendenti che si presentano al lavoro perché essenziali senza per ora essere pagati e altri 380mila che verranno “sospesi” privi di stipendio. I ministeri azzoppati vanno da quello di Stato all’Agricoltura, dalla Giustizia al Tesoro. Ferma è la Nasa, bloccato il fisco, in affanno i parchi nazionali e verso la chiusura i musei federali, anche se gli Smithsonian hanno riserve fino al 1° gennaio. Esenti da shutdown sono invece i servizi di sicurezza nazionale, dalle forze armate all’Fbi.