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 2018  dicembre 23 Domenica calendario

Chi scende dalle Stelle

Ora che, col fiatone e la lingua di fuori, i giallo-verdi hanno finalmente partorito la legge di Bilancio per approvarla entro San Silvestro in un Parlamento strozzato dai tempi contingentati e dalla mannaia della fiducia, si spera che l’Italia tornerà fra qualche giorno alla normalità. Che non può essere lo spettacolo inverecondo di questi giorni. Gli elettori leghisti sono di bocca buona e digeriscono tutto quel che gli propina il loro Capitano, anche quando li frega sui 600 mila clandestini espulsi, o incontra malavitosi, o avverte criminali nigeriani degli imminenti arresti, o mette in pericolo l’incolumità di un magistrato che poi la sua polizia è costretta a scortare. Gli elettori dei 5Stelle invece sono più esigenti e chiedono conto. Non di quel che fanno i genitori di Di Maio e Di Battista, né del compromesso con l’Europa (che farà bene alla nostra economia). Ma di alcune sconcertanti giravolte che, anche se fossero giustificate, andrebbero almeno spiegate. Ne parliamo solo noi perché ai 5Stelle vengono sempre rimproverati i loro meriti (il no al Tav, la Spazzacorrotti, lo stop ai vitalizi e la gran parte delle cose fatte elencate nell’ormai celebre appunto di Di Maio), mentre i loro demeriti piacciono a tutti.
L’altroieri Giuseppe Conte, in conferenza stampa, ha risposto a una domanda del nostro Manolo Lanaro su Claudio Descalzi, l’ad di Eni – primo gruppo italiano per fatturato – imputato per corruzione internazionale e sospettato di gravi conflitti d’interessi con la moglie Madeleine Ingoba. Roba che in un altro paese, ma anche in questo in altre epoche, avrebbe fatto scattare, se non le manette, almeno le dimissioni o la destituzione. Invece Conte ha ricordato che “la responsabilità penale è personale e Descalzi avrà la mia fiducia finché non saranno accertati fatti penalmente rilevanti su di lui”. Il premier è un giurista e conosce bene la responsabilità politica ed etica, che obbediscono a regole diverse da quella penale. Infatti le ha applicate facendo dimettere il boiardo del Mef Roberto Garofoli, non indagato ma coinvolto in una rete di conflitti d’interessi scoperta dal Fatto. Lo stesso ha fatto con Autostrade dopo il crollo del Ponte Morandi, dichiarando che “non possiamo attendere i tempi dei processi” e annunciando misure immediate, non penali ma amministrative: la ventilata revoca della concessione e l’estromissione dalla ricostruzione. Sapete quanti giornali, ieri, hanno non dico criticato, ma almeno registrato la sua difesa di Descalzi? Nessuno. Certo, cacciare il n. 1 dell’Eni non è una decisione che si prende a cuor leggero.
Né che si annuncia in conferenza stampa. Forse la prudenza di Conte è comprensibile. Tantopiù che Salvini difende a spada tratta Descalzi: per i leghisti le accuse di corruzione fanno curriculum, altrimenti la Lega non avrebbe appena salvato (con Pd& FI) la sua senatrice Bonfrisco da un processo per corruzione e associazione a delinquere. Ma il M5S non ha nulla da dichiarare? Nel 2014 – come ricordava ieri Marco Lillo – Di Battista chiese le dimissioni di Descalzi quando era solo indagato: ora è a giudizio per le tangenti in Nigeria e la Procura di Milano ritiene che l’Eni abbia pagato dal 2012 al 2017 ben 105 milioni di dollari (soldi nostri) alla Petro Service Congo, controllata – secondo l’accusa, smentita dall’interessata – da lady Descalzi fino al 2014. Dibba ora fa un altro mestiere, ma al M5S non mancano i parlamentari in grado di valutare il caso, magari leggendosi il libro di Claudio Gatti Enigate (PaperFirst), e trarne le conclusioni: tipo che, se quegli atti saranno confermati, Descalzi se ne dovrà andare ipso facto.
Poi c’è Angelo Tofalo, sottosegretario 5Stelle alla Difesa, quello che ogni tanto si crede Superman e smette giacca, cravatta e pantaloni per indossare mimetica, basco e anfibi. Se fosse solo folklore, si potrebbe pure sorvolare e archiviare il tutto alla voce “infanzia problematica”. Invece il Tofalo, purtroppo, parla. L’altro giorno s’è lanciato, in Parlamento, in un’appassionata difesa degli F-35, i cacciabombardieri Lockheed che i 5Stelle avevano chiesto ai tre governi precedenti di non acquistare perché inutili, mal funzionanti e simboli di politiche guerrafondaie. Chissà dov’era allora il nostro Sturmtruppen. Ora sventuratamente è al governo e dice: “Il programma F-35 va avanti da oltre vent’anni e, a differenza di quanto spesso qualcuno ha detto (il suo Movimento all’unanimità, ndr) ha un’ottima tecnologia, forse la migliore del mondo. Non possiamo rinunciare a una grande capacità aerea per la nostra aeronautica che ancora oggi ci mette avanti a tanti altri Paesi”. Naturalmente non è vero niente: quel progetto di cooperazione tecnologico-militare coinvolgeva 9 Paesi, ma se ne sono già sfilati in varie forme Gran Bretagna, Olanda, Danimarca, Australia e Turchia. Secondo gli stessi esperti del Pentagono, gli F-35 presentano vari difetti di fabbricazione: se colpiti da un fulmine potrebbero persino esplodere in volo. Nel 2013 5Stelle e Sel fecero approvare una mozione che ne sospendeva l’acquisto (roba da 15 miliardi, il doppio del reddito di cittadinanza). Provvide poi Napolitano – che oggi scopre la sacralità del Parlamento – a neutralizzarla, ammonendo le Camere a non immischiarsi in cose che le riguardavano. Fra gli strepiti dei 5Stelle contro Re Giorgio che “esautora il Parlamento”. Quello stesso Parlamento che ora assiste ai peana del maresciallo Tofalo agli F-35. Di Maio ha opportunamente invitato i suoi a registrare le prove della compravendita berlusconiana, per denunciare il compratore ed espellere gli eventuali venduti. Per cacciare Tofalo non c’è neppure bisogno di intercettarlo: basta farlo parlare.