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 2018  dicembre 23 Domenica calendario

Michele Novaro, il Fratello d’Italia dimenticato

Ebbe i natali a ridosso del Natale, ma la sua nascita è stata dimenticata, così come la sua vita e la sua opera. Se si chiedesse a dei giovani contemporanei chi è Michele Novaro, in pochi saprebbero rispondere: il suo nome è assente nell’immaginario collettivo, la toponomastica lo ignora, non esiste alcuna monografia che lo riguardi, e solo di recente sono stati creati un’associazione Michele Novaro e un concorso musicale intestato al suo ricordo. Per il resto il silenzio. Eppure Michele Novaro ha avuto un ruolo decisivo nella costruzione della nostra identità patria: fu colui che compose la musica dell’inno nazionale italiano, rappresentò per le note quello che Goffredo Mameli fu per le parole, ma a differenza sua non si è guadagnato fama postuma e gloria imperitura. È il Fratello d’Italia dimenticato. «Si tratta di un caso abbastanza singolare di sottovalutazione del compositore rispetto al paroliere», fa notare Gianluca Tarquinio, autore del bel libro Il canto degli italiani (Kirke, euro 15): «mentre ci riferiamo a La traviata di Verdi e alla Norma di Bellini, chissà perché parliamo dell’inno di Mameli, e non di Novaro». In occasione dei 200 anni dalla nascita, avvenuta a Genova il 23 dicembre 1818, non è dunque sterile celebrarne la figura, ma anche cercare di comprendere perché essa sia stata rimossa dalla memoria nazionale. Indubbiamente all’oblio ha contribuito la sua vita appartata seguita da una morte comune, non eroica: laddove Mameli morì 21enne in battaglia, lottando per difendere la Repubblica romana, Novaro si spense in età matura, a 66 anni, quando l’Italia era già stata fatta e lui si barcamenava tra problemi di salute e difficoltà finanziarie.

L’ARMONIA SCOLASTICA
Nella sua scarsa fortuna post mortem ha pesato anche la cattiva considerazione musicale che per molto tempo ha accompagnato la sua opera più celebre, l’inno nazionale, giudicato una marcetta minore, con un’armonia piuttosto scolastica, e divenuto inno definitivo d’Italia solo lo scorso anno. A fronte di questo discredito, sarebbe invece il momento, oltre che di conoscere meglio Novaro, anche di riabilitarlo per meriti patriottici e musicali. Quando nel novembre 1847 ricevette tra le mani il testo dell’inno scritto da Mameli, Il canto degli italiani, Novaro fremette di passione civile ? «piansi, ero agitato, non potevo star fermo», raccontava lui stesso ? e si mise al pianoforte per improvvisare una musica compatibile con quelle parole. Trascinato da quel furore creativo, intervenne con un cambio decisivo nel brano: al posto di «Evviva l’Italia» con cui esordiva il testo di Mameli, inserì l’espressione «Fratelli d’Italia» che avrebbe rafforzato la carica poetica e politica dell’inno. Novaro mise il suo talento al servizio della causa di indipendenza, componendo altri canti patriottici. Fu un patriota non con la baionetta ma con lo spartito. Anziché in armi combatté in note. Ma la sua musica riuscì a fare gli italiani forse molto più di quanto non fecero le battaglie. Anche riguardo alla sua qualità di compositore, bisognerebbe riconsiderare il valore delle sue opere, a cominciare dall’inno d’Italia. «Quella partitura», ci dice il musicista Roberto Prosseda, presidente dell’associazione Mendelssohn, che insieme a Italgas organizza il Concorso Michele Novaro (figlio di un’idea di Lorenzo Becattini) e che ha appena prodotto un mini-documentario sul compositore, «viene suonata oggi in modo diverso da come venne composta da Novaro. Lui la immaginava come una melodia morbida e lirica, non come un componimento marziale ritmato, perché doveva rendere l’idea di un sogno non ancora realizzato, la nascita dell’Italia unita».

AMATO DA RINO GAETANO

E d’altronde, ricorda Tarquinio, da subito il componimento di Novaro ebbe riconoscimenti importanti, da Giosuè Carducci che lo definì «il più trascinante inno guerresco dopo la Marsigliese» a Giuseppe Verdi che lo inserì nel suo Inno delle Nazioni del 1862, intuendone la forza civile e musicale. Ma Il canto degli italiani fu solo la punta dell’iceberg di un repertorio di note lasciato da Novaro, e ai più sconosciuto. «Ci sono brani notevoli, anche migliori di Fratelli d’Italia», continua Prosseda. «Penso a Italia libera, su testo di Francesco Dall’Ongaro, che altrettanto degnamente avrebbe potuto ambire al ruolo di inno nazionale». Borghese, dalla vita ordinaria, Novaro segnò una svolta nella storia della musica patriottica italiana facendoci sentire Fratelli in un Paese che ancora stentava a essere riconosciuto come Patria. Non a caso, nonostante la dimenticanza generale, Novaro è stato apprezzato da due cantanti anticonformisti come Rino Gaetano e Caparezza. Il primo ricordava: «Novaro incontra Mameli e insieme scrivono un pezzo»; l’altro aggiungeva: «Perché non dirlo, il tema dell’inno non è di Mameli, è di Novaro».