Il Messaggero, 23 dicembre 2018
Una chiacchierata con Christian e Brando De Sica
A casa De Sica tutto è pronto per le feste: due alberi di Natale avvolti nel rosso delle pareti, lampade dorate, cioccolati, le foto dei nonni, una quiete asciutta, reale. Christian e Brando sono seduti accanto sul divano del salotto. È la prima volta che padre e figlio accettano di parlare apertamente del loro rapporto artistico. Abbiamo appena iniziato la nostra conversazione, quando un levriero attraversa il salone per andare dritto in cucina. «Ah, quello è Jumbo. È l’ultimo arrivato» dice Brando, e si alza come se volesse presentarcelo. Jumbo è elegante e dall’animo tranquillo. Ci viene in mente che forse abbiamo sbagliato copione e ci troviamo sul set di Animali fantastici e dove trovarli. Tra la casa e il giardino, circolano liberamente cani di tutte le taglie. I loro nomi sono Fred, Obama, Michelle, Johnny, Odette, Nana, Mary, Mario, Bimba.
CANI E SERPENTI«Noi amiamo tutti gli animali. Abbiamo avuto criceti e persino un serpente. Mia madre in particolare salva i cani dall’abbandono» dice Brando, 35 anni, un carattere estroverso, affettuoso. «Tradizionalmente, passiamo il Natale nella nostra casa in Toscana. È la prima volta che lo trascorriamo a Roma, ma qui sull’Appia Antica è come stare in Umbria. Abbiamo dovuto lasciare il nostro storico appartamento all’Aventino perché con dieci cani era diventato impossibile viverci. E poi volevo allontanarmi dal centro. Amo moltissimo Roma ma somiglia sempre di più a Baghdad», racconta Christian, 67 anni, una natura placida e intuitiva.
LA GENEROSITÀPadre e figlio sono appena riemersi da un’esperienza che li ha visti artisticamente uniti. Amici come prima, il film di Natale uscito nelle sale solo due giorni fa, porta la firma di Christian, ma in realtà si tratta di una co-regia: «Io mi sono occupato principalmente del cast, Brando ha curato i movimenti di macchina e tutto il resto» dice il padre. Il nome del figlio però non figura nei titoli. «Ho seguito tutto, dalle riprese alla post-produzione, ma non ho voluto firmare. Per me il regista è il capitano della nave: deve conquistarsi il rispetto della troupe e del cast e prendersi da solo la responsabilità del successo o del fallimento della sua opera» spiega Brando, che nel passato ha firmato cortometraggi di genere noir (Aria, L’errore, Ora o mai) e spot pubblicitari. «Sono stato felice di lavorare con papà, che è l’attore più generoso che io conosca. In più ho potuto portare i miei collaboratori, tutti giovanissimi, e ci siamo divertiti un mondo a girare questo film, ma non volevo iniziare una carriera troppo veloce legata agli incassi e a un genere specifico. Forse sono pazzo, ma mi piace scegliere la strada più difficile».
CINEPANETTONE ADDIOLa regia è dinamica, la vicenda tragicomica. Si ride ma non troppo. D’altro canto, il tema è serissimo: la perdita del lavoro. Non ci sono donne nude e non è neanche Natale. Di tradizionale, ci sono alla fine soltanto Christian De Sica e Massimo Boldi, che dopo 13 anni sono tornati a recitare insieme. Non sarà mica il funerale del cinepanettone? «Gli omaggi al genere ci sono soltanto dopo i titoli di coda, dove Massimo e io ci scateniamo con una serie di gag. Per il resto è una commedia tenera, a tratti malinconica, dove io interpreto un uomo che ha perso il lavoro e si trova costretto a travestirsi da donna per fare la badante di un eccentrico miliardario. Alla fine, è un elogio del mondo femminile. Dunque, sì, non è un classico cinepanettone, se non per il fatto che esce a Natale e che fa anche ridere. La chiave stilistica è merito di Brando e degli altri ragazzi che ci hanno lavorato», racconta Christian.
IL LEGAME ARTISTICO«Per una volta, è il figlio che aiuta il padre, e non il padre che aiuta il figlio», interviene Brando con la sua risata allegra, facendo un salto dal divano. Il padre lo guarda divertito. «Si può immaginare come era da bambino. Brando ha sempre avuto una testa velocissima. Per addormentarlo, ero costretto a fargli fare le corse dentro casa con il passeggino, lungo il corridoio. D’altro canto, lo ammetto, anche con l’altra figlia, Maria Rosa, che è costumista e scenografa, io sono sempre stato un padre-chioccia. Mia moglie Silvia (Silvia Verdone, sorella di Carlo, ndr.) si rifiutava di assecondarli in tutto. Fosse per me, tutti i pulcini dovrebbero sempre stare a casa. Infatti non volevo che lui andasse a studiare a Los Angeles, anche se adesso dico: ha fatto benissimo. Però New York la prima volta l’ha vista con me, quando l’ho portato al concerto di Little Richard all’Apollo Theatre, a Harlem. Lui ovviamente non lo conosceva. Ma quando ha cominciato a suonare al pianoforte è impazzito e alla fine ballava con me insieme a tutto il pubblico dell’Apollo Theatre». «Che privilegio conoscere New York così. Credo che in quel preciso momento, io e papà ci siamo legati artisticamente» commenta il figlio.
I MAESTRIUna volta finito il liceo, Brando va a studiare cinema a Los Angeles e ci resta otto lunghi anni. È lì che incontra David Lynch e Steven Spielberg. «Tra le altre cose, Lynch mi ha introdotto alla meditazione trascendentale, che ancora pratico e che mi ha cambiato la vita. Oltre a papà, per me David Lynch, Steven Spielberg e Matteo Garrone sono le persone migliori che ho conosciuto nel mondo del cinema, quelle con il cuore più grande. Una volta tornato dagli Stati Uniti, ho fatto lo scudiero, cioè il ghost writer, nel Racconto dei racconti di Garrone. Ed è stata un’opportunità grande. Dopo l’Università, Matteo mi ha insegnato tutto».
LA CRONACA NERALa passione per la cronaca nera e per le atmosfere tenebrose nasce però molto prima dell’incontro con Garrone: «Papà e zio Manuel facevano vedere a me e a mio cugino Andrea i capolavori del cinema horror. Per noi era un rituale. L’esorcista lo vidi a sei anni. Forse è lì che è scattato qualcosa nella mia testa», ammette divertito Brando. «Era talmente impressionato dai film horror, che poi voleva andare a scuola truccato da Dracula per spaventare i compagni» ricorda il padre. Con queste premesse formative, è del tutto naturale che oggi Brando De Sica voglia dirigere «un suspense-thriller quasi horror» ambientato tutto in un interno: «Sto scrivendo la sceneggiatura con Ugo Chiti e ci sto mettendo tutto me stesso. Vorrei che questo mio primo film fosse come il primo bacio, come la prima volta che si fa l’amore».
IL PROGETTOAnche Christian ha un sogno ancora inespresso: raccontare la Schindler’s list di suo padre Vittorio De Sica. «Nel 42, aspettando che l’Italia fosse liberata dai nazisti, mio padre e mia madre (Maria Mercader) si chiusero nella Basilica di San Paolo per girare La porta del cielo, un film sul miracolo di Loreto. In quella circostanza, papà, volontariamente o no, salvò 200 ebrei. È una storia che non conosce nessuno. La sceneggiatura l’ho già scritta diversi anni fa con Graziano Diana. Adesso sono troppo vecchio per interpretare mio padre quarantenne, ma posso fare la regia».