La Stampa, 22 dicembre 2018
Best e la gloria del Pallone d’oro, cinquanta anni fa l’inizio della fine
Nella notte di Natale il calciatore più famoso del mondo riceve il solo premio che gli manca, il Pallone d’oro. E inizia a bere.
Ventiquattro dicembre 1968, George Best viene votato il miglior giocatore in circolazione nell’anno in cui porta la Coppa Campioni a Manchester. Tra lui e il compagno di squadra Bobby Charlton, secondo classificato, ci sono 8 punti ed evi di distanza. Charlton è un campione di altri tempi, Best è Cristiano Ronaldo solo che è il primo a esserlo, è il solo che diventa una pubblicità ambulante, è l’unico trattato come un Beatle e non ha gli anticorpi. Non ha idea di come restare chi è.
Sono passati 50 anni e ancora Georgie è rimasto senza definizione. Genio del calcio alcolizzato, talento assoluto bruciato da uno star system sconosciuto e quindi selvaggio, sciupafemmine che butta ogni qualità nell’alcol, incondizionatamente adorato, ripetutamente perdonato, instancabilmente ricordato perché era e resta speciale. Eppure ora, nell’anniversario di quel premio si capisce che probabilmente quello è stato l’ultimo istante di felicità sobria, di brividi sinceri.
Best, qualche giorno dopo, avrebbe alzato il pallone senza base, scardinato dal piedistallo e mostrato al pubblico così: nudo. Non era certo un tipo da centro di gravità e nemmeno da filtri, sapeva che stava per darsi in pasto alla curiosità collettiva. Allora il Pallone d’oro non era una consacrazione, solo il riconoscimento della critica, ma quel piccolo mondo sconvolse la vigilia di Natale. E il futuro. A 22 anni, Best aveva vinto tutto quello che sognava e si sentiva scivolare.
Una fragilità indicibile
La fidanzata di allora, l’ex modella Jackie Glass, oggi suora buddista sotto il nome Ani Richen, ricorda le assurde parole dopo la Coppa Campioni del 4-1 contro il Benfica: «E adesso che cosa faccio?». Sembra mancanza di ambizione, noia capricciosa, scarsa consapevolezza, ma Best è passato a velocità supersonica dalle gambe bianche di un ragazzino timido con i maglioni lunghi, alle cinture borchiate portate su magliette rosa quando aveva i capelli lunghi. Si è trasformato dall’adolescente che scappa dal primo provino allo United, stravolto all’idea che lo avrebbero preso («non ero mai uscito da Belfast»), ai party di Londra, della Swinging London. E lui giocava a Manchester.
Nel mezzo la sua classe gli ha consentito di essere tutto, pure il simbolo di un Paese diviso. Mentre l’Irlanda del Nord viveva i suoi giorni più cupi lui diventava una stella. E un incrocio di contraddizioni venute a galla in quel 24 dicembre. Sempre la sua ex, che nel 1968 non poteva capire, oggi si commuove nel rievocare quella fragilità. Nel documentario «All by myself» che spiega bene quanto Best fosse vittima di se stesso, Glass-Richen, con i capelli rasati e la tunica, descrive l’infinita tristezza di un compagno che già la tradiva: «Era dipendente dal calcio, dalle donne, dall’alcol e tutto diventava troppo».
L’asta per recuperare fondi
Impossibile restare indifferente alle migliaia di ragazze che lo corteggiavano, essere sempre all’altezza di un tifo così devoto, essere parte di una squadra mentre cercavano solo lui. Non ci era mai passato nessuno, primi sporadici fenomeni di divismo pallonaro si erano visti con Bobby Moore anche se nulla di paragonabile. Best guadagnava 2000 sterline a settimana quando la media in Inghilterra stava a 23 e i soldi entravano e uscivano dalle sue tasche. Fuori controllo, come tutto il resto.
Era magia e tormento, ma fino all’inverno del 1968 era soprattutto un calciatore unico, poi qualcosa si è inceppato davanti a quel mondo in miniatura che non significava neppure un granché. Ma era comunque un traguardo ingestibile.
Nel 2003, due anni prima di morire con il fegato spappolato, Best mette all’asta quel successo insieme ad altri cimeli. Entrava e usciva da riabilitazioni impossibili, era senza fondi, non ancora senza speranze. Prima di liberarsi del Pallone d’oro lo guarda, si specchia in quell’universo che è stato ai suoi piedi: forse ci vede l’ombra di se stesso, il giocatore di 22 anni in bilico tra estasi e depressione e forse ha la tentazione di tornare indietro e cambiare domanda. Perché dopo la Coppa Campioni e dopo il 24 dicembre 1968 c’erano tantissime cose da fare, partite da giocare, gol da segnare, vita da spremere e magari anche da sbagliare. Solo che lui l’ha buttata via. «Ricordatemi solo per il football», l’ultimo desiderio che non sarà mai rispettato.