La Stampa, 22 dicembre 2018
Intervista a Kasia Smutniak
A un certo punto succede che abbia freddo. Allora va a cambiarsi, e, libera dal completo firmato e dai tacchi altissimi, riappare in maglia e pantaloni neri. Senza trucco, vestita come una qualunque coetanea, Kasia Smutniak, polacca, classe 1979, sembra sollevata: «Sul set de La prima pietra ho recitato con il velo, nel ruolo di una madre araba. Giravamo in una scuola di Centocelle, durante la pausa andavo a prendere il caffè sempre nello stesso bar, e passavo completamente inosservata». Gente distratta, sicuramente, ma il segreto di Smutniak è proprio questo, una grazia diffusa, senza punti esclamativi, un’aria fragile che fa a pugni con il carattere deciso, un fascino dolce che nasconde fermezza.
Nelle prime interviste della sua carriera ricordava spesso di essere figlia di un generale dell’aeronautica, come per sottolineare un’abitudine alla determinazione. Sente ancora questa necessità?
«Finalmente ho fatto pace con quello che sono. Ho anche smesso di remarmi contro, non mi sento più alla ricerca della mia identità, sono così e basta».
È arrivata in Italia dalla Polonia e ha cominciato a recitare. È stato difficile integrarsi?
«Ho avuto un sacco di problemi burocratici, legati ai visti, e ho passato i primi anni negli uffici a rinnovare permessi di soggiorno. Per chi, come me, faceva un mestiere a tempo determinato, era molto complicato trovare soluzioni per restare».
Immigrazione e società multietnica sono i temi del giorno, al centro anche della «Prima pietra» di Rolando Ravello. Lei che opinioni ha?
«Vengo da un Paese che ha una storia diversa dalla vostra. L’Italia è stata terra di migranti, le persone andavano via per povertà e disperazione, attraversavano l’oceano senza sapere che cosa avrebbero trovato. La Polonia ha avuto una migrazione diversa, economica, si partiva per cercare opportunità. Penso che la soluzione sia nell’imparare dal passato, nel capire che non bisogna cedere alle paure e che non serve costruire barriere. E lo dico come una nata dall’altra parte di un Muro. È assurdo che adesso si rimettano in moto meccanismi che hanno creato solo fallimenti e infelicità».
Oggi come si sente, più polacca o più italiana, e ai figli insegna la sua lingua?
«Né polacca né italiana, mi sento fortemente europea, cioè cresciuta nel luogo dove si è sviluppata la civiltà più antica del mondo. Certo, i figli sanno il polacco, l’italiano e l’inglese. Sono sempre stata appassionata di lingue, parlo un po’ di nepalese, capisco il tedesco, e riesco a vedere un film in spagnolo».
Che cosa la guida nella scelta dei suoi personaggi?
«Mi piace ribaltare tutto ed esplorare ogni volta l’opposto. Prima di Loro, il film con Sorrentino, avevo fatto Moglie e marito dove diventavo uomo. Quando ho incontrato Paolo ero ancora un po’ maschio, infatti lui mi ha chiesto “Kasia, ma tu la sai fare una donna?”».
Come descriverebbe l’avventura diLoro?
«Sorrentino è un visionario, stare su un suo set significa ritrovarsi in un sogno, ci sono cose che ti fanno paura, altre che non ti aspetti, altre che ti divertono. È un’esperienza astratta, assurda. Paolo pretende molto da tutti, ma anche da se stesso. Esige tanto e dà tanto».
Che cosa significa per lei essere attrice?
«Poter disporre di tante vite diverse, ho sempre avuto questa frenesia di vivere la vita pienamente, ogni film mi dà l’occasione di imparare qualcosa di nuovo su me stessa».
A che cosa pensa quando dice sì o no a un film?
«Sul piatto della bilancia ci sono sempre i figli, faccio un film se sento che vale la pena dedicare mesi, a volte anni, a un progetto. E poi sono attratta dai personaggi che mi fanno paura, devo avvertire il senso della sfida, sennò non mi diverto».
In quali altri ruoli la vedremo, dopo «La prima pietra»?
«Sto girando la serie di Sky I diavoli, con Alessandro Borghi e Patrick Dempsey, è un racconto ambientato nel mondo della finanza. Interpreto la moglie di Dempsey. E poi ho recitato in due film polacchi, Dolce fine giornata con Krystyna Janda e Nie Znajomi, una commedia amara».
È faticoso conciliare famiglia e lavoro?
«Sì, infatti ho deciso di prendermi un po’ di riposo, l’anno prossimo mi fermo, ogni tanto bisogna ricaricare le batterie».