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 2018  dicembre 22 Sabato calendario

Alessio Figalli, il vincitore della Medaglia Fields, torna a casa

Non si muove con sicurezza solo quando affronta la matematica Alessio Figalli. Ha un approccio deciso anche quando incontra gli studenti delle scuole che lo invitano a salire in cattedra per raccontare come e perché a agosto scorso ha vinto la medaglia Fields, il massimo riconoscimento mondiale in matematica, considerato il Nobel di categoria. Sembra uno di loro che però sa «tante cose in più», e i ragazzi lo sentono, ridono e gli fanno domande in totale empatia. L’età sicuramente aiuta, Figalli ha 34 anni, e sembra ancora più giovane, un ragazzo come loro.
E un incontro veramente speciale è quello di oggi, nel quartiere dove è nato e dove ha preso la maturità: quello con gli studenti dei licei dell’Eur a Roma, invitato dal presidente del consiglio del Municipio IX.
Allora professor Figalli, la medaglia Fields avrà avuto un impatto forte sulla sua vita...
«Tutto è molto diverso da prima. Molte responsabilità accademiche, mi invitano a tanti eventi, sia divulgativi ma anche legati alla formazione dei giovani. Non ero pronto, non pensavo a quanto sarebbe cambiata la mia vita. Ora ho trovato un equilibrio».
Qual è stata la cosa più importate di questi mesi?
«Parlare con i giovani e far loro comprendere la mia passione per la matematica. Essere consapevole che ho trasmesso un messaggio positivo. Ho ricevuto lettere bellissime da alcuni studenti delle medie che mi hanno commosso. È questa la cosa migliore: sapere che la mia storia può ispirare e motivare».
L’impatto sui giovani mi sembra fondamentale per lei. È sorpreso da tanto interesse?
«Dico la verità: non mi aspettavo, forse ingenuamente, tanto interesse».
Quindi pensa che sia un buon auspicio per il futuro della matematica...
«Impossibile dare una risposta, sicuramente posso dire che nel mondo c’è tanto bisogno e di matematica e stiamo facendo progressi enormi in tante direzioni a una velocità mai vista prima. Ad esempio nel campo dei numeri primi, fondamentali per la crittografia, della scienza dei dati e dell’intelligenza artificiale».
E per raggiungere risultati sempre più alti crede che il governo stia facendo la sua parte? Nella manovra c’è di nuovo il blocco delle assunzioni e dei concorsi, anche nell’università.
«Il problema non è tanto il blocco, che certo arriva a sorpresa e non è positivo, ma è più generale. Nell’università italiana manca la programmazione delle assunzioni. Si fanno riforme sempre a corto raggio, si aprono nuove posizioni, poi si richiudono. Quello che serve è un orizzonte di 10-15 anni in cui le regole siano chiare e non ci siano continue sorprese».
In 15 anni cambiano molti governi in Italia.
«Bisogna essere lungimiranti, stabilire come strutturare le posizioni e i fondi per la ricerca, indipendentemente da chi c’è al governo in quel momento. Tutte le forze politiche dovrebbero essere unite per la ricerca, è importante trovare un accordo e mantenere regole condivise per un periodo lungo. Questa è uno snodo chiave, se manca non si conclude nulla».
Lei che lavora all’estero, a Zurigo, crede che gli altri Paesi ci riescono?
«In Francia, ad esempio, lo fanno, anche se con tutta una serie di difficoltà economiche. Ogni anno ci sono una serie di posizioni aperte, magari poche ma ci sono, e queste regole del gioco sono chiare a tutti e condivise. Ed è questo che servirebbe in Italia».
Se dovesse fare un appello al nostro governo che cosa direbbe?
«Credo che tutte le forze politiche debbano sedersi e fare un patto per l’università e non cambiare le regole ogni anno».
E lei? Ce lo dice il suo buon proposito per il nuovo anno?
«Certo: ricoprire al meglio questo mio nuovo ruolo di "ambasciatore della matematica", non voglio più fare a meno del contatto con i ragazzi. E trovare un perfetto equilibrio con i miei studi e la ricerca».