Corriere della Sera, 22 dicembre 2018
Intervista a Valentina Vezzali
Valentina Vezzali, la chiamiamo ancora onorevole, ma nel frattempo le è sparito il partito...
«Purtroppo il nostro presidente si è dimesso quasi subito e al vertice ci sono state turbolenze. Senza capo non siamo riusciti ad andare avanti».
Un caffè da bere e un registratore acceso per raccogliere il pensiero, stavolta in un’altra chiave, di «Nostra Signora delle Lame», la tre volte olimpionica del fioretto che Jacques Rogge, ex presidente del Cio, ha definito una delle cinque più grandi atlete della storia dello sport. Una campionessa ricca di valori che ha deciso di misurarsi pure sulle pedane della politica.
Giochiamo con le parole: rifarebbe la scelta di... Scelta Civica?
«Politica significa mettersi al servizio della gente per migliorare il Paese. Secondo me Scelta Civica, formata da persone disposte a mettere a disposizione le proprie conoscenze e la propria esperienza, era un modo per risollevare l’Italia».
Ha mai più risentito Mario Monti, che la volle nella sua squadra?
«Non lo vedo né lo sento da un paio d’anni. Una delle ultime volte in cui l’ho incontrato è stata per una votazione in Parlamento in seduta comune».
Come s’era convinta di lui?
«Nelle mie cose sono “precisina” e quando m’impegno lo faccio al meglio. Monti rispecchia questi valori. È credibile, è uno che punta ancora sulla famiglia. E come un buon padre, richiede i sacrifici nei momenti duri: se fosse rimasto premier, avrebbe fatto ripartire il Paese».
Si dice che qualche mese fa lei stesse per passare a Forza Italia.
«Non è per nulla vero».
Ma Valentina Vezzali è di destra o di sinistra? Oppure, visto che va di moda, sta col popolo o con le élite?
«Sono moderata e sono a favore degli italiani».
Rifarebbe quella battuta a Silvio Berlusconi per la quale è stata messa in croce?
«Sono passati dieci anni dalla serata a Porta a Porta. “Farsi toccare” era sinonimo di stoccata schermistica. È stata la battuta di un’atleta ingenua che voleva solo fare un complimento al premier. In quel momento ero quasi imbattibile, ma se Berlusconi fosse riuscito a mettere una stoccata a una Vezzali che aveva vinto tre Olimpiadi di fila, avrebbe significato che tutto era possibile. Purtroppo l’espressione è stata strumentalizzata. Ma oggi sì, rifarei la battuta, perché no?».
Si sentiva rispettata in Parlamento, al di là della fama della campionessa?
«Ho guadagnato sul campo la stima dei colleghi, dimostrando il mio impegno nel periodo in cui ero ancora atleta: mi allenavo prestissimo alla mattina, poi andavo in Parlamento e alla sera tornavo in palestra. Spesso ho lavorato con esponenti di altri gruppi: ma lo sport mi ha insegnato ad andare oltre un’ideologia».
Le ha dato fastidio che qualcuno abbia dichiarato che lei scaldava la sedia?
«Per me parlano i fatti: mi sono occupata di tematiche legate al professionismo, alla donna, a lacune clamorose come l’assenza di un insegnante di scienze motorie nella scuola primaria, cosa prevista fin dal 1976. Alle malignità sono abituata: nella scherma dicevano che ero campionessa solo in pedana e non nella vita».
C’è una battaglia che crede di aver vinto?
«Nel decreto sulla “buona scuola” c’è un emendamento in base al quale l’atleta deve coordinare un piano di studi con l’insegnante. La questione dell’insegnante di scienze motorie nelle scuole in un primo tempo è stata accantonata, ma poi è stata ripresa. Anche nella politica, come nello sport, occorre guardare alla meta e inseguirla con pazienza: io l’Olimpiade non l’ho vinta in un giorno».
Sognava di diventare premier?
«No, quello lo sogna Pietro, il mio figlio maggiore».
Le piace chi governa oggi il Paese?
«L’Italia alle elezioni ha espresso una volontà su un preciso programma: va rispettata. Mi auguro che si abbassino i toni: siamo reduci da una legislatura in cui tutto passava per essere il male».
Valentina Vezzali per chi ha votato il 4 marzo?
«Non ho potuto votare: ero impegnata come capodelegazione a Sochi agli Europei Under 17 di scherma».
L’Italia è sotto attacco oppure no?
«Mi auguro che ci sia un criterio in tutte le misure adottate. Prima di condannare chi le ha fatte, vediamo gli effetti che producono. Un po’ di timore però ce l’ho: sono scelte azzardate, ma forse è quello di cui abbiamo bisogno».
Le manca la politica?
«Fare politica significa impegnarsi per il Paese. Io oggi sono dirigente della scherma: mi sto occupando dell’Italia in un altro modo».
La donna vive situazioni critiche nella società di oggi?
«Dal dopoguerra abbiamo fatto enormi passi in avanti. Un tempo un’atleta che rimaneva incinta veniva depennata dalle liste federali o perdeva un contratto. Di donne coraggiose che inseguono i loro ideali ce ne sono tantissime, ma purtroppo siamo ancora oggetto di violenze: la mia commissione aveva predisposto un provvedimento, per combattere il femminicidio, destinato a introdurre nella scuola una materia che insegnasse la cultura della diversità di genere. Ma non se n’è fatto nulla».
Ha ragionato sul suo futuro?
«Sarà nello sport, ancora troppo sottovalutato. Ogni ragazzo che lo pratica fa risparmiare soldi in termini di salute e di integrazione sociale. Eppure i guai sono tanti, partendo da un’impiantistica disastrosa».
Siamo così scassati?
«Sì. Dobbiamo ampliare la cultura dello sport: sono felice che la Federscherma e le Fiamme Oro mi facciano lavorare sui giovani. Deve poi cambiare la mentalità dei professori, che spesso vessano gli studenti impegnati con l’agonismo».
Se la campionessa è stata in linea con i suoi sogni, che cosa dire della donna Vezzali?
«Che seguirà lo schema della sportiva: un passo per volta, facendo della sana gavetta».
Chi è la donna «assoluta» d’Italia?
«Bebe Vio. Con quello che ha passato, avrebbe potuto lasciarsi andare. Invece ha reagito e ha dimostrato che nulla è impossibile. È un messaggio per l’intera Italia: abbiamo un Paese-diamante, che va solo un po’ ripulito per farlo risplendere».
A chi darebbe una stoccata cattiva?
«Le stoccate non sono mai cattive. Vorrei darne una in punta di fioretto a chi guarda solo al male nelle cose e non riesce a vedere il buono e il positivo».
Quando ha avuto la percezione che sarebbe diventata la Vezzali?
«Se l’avessi pensato, non lo sarei mai diventata. Torno al concetto dell’obiettivo: ne fissi uno importante, ma poi devi lavorare passo dopo passo per costruire un percorso. Il segreto è questo, assieme a determinazione, voglia, umiltà».
In pedana si odia l’avversario?
«Giulio Tomassini, il mio maestro-guru, mi diceva che il pensiero blocca l’azione: se provi un sentimento mentre sei in pedana, sei in svantaggio».
Vale pure in Parlamento?
«L’avversario non è un nemico, ma una persona che ci permette di superare i nostri limiti. E a chi non la pensa come te puoi arrivare a far capire le cose».
Non sempre ci si riesce...
«Vero. Penso alla rinuncia di Roma ai Giochi 2024, un errore aggravato dall’idea che sarebbe stata solo un’occasione per rubare. Detesto questa mentalità, io sono per costruire».
Ha dato la sensazione di dare fastidio, vincendo tanto?
«Non lo so. Ma di recente ho avuto una soddisfazione: una collega mi ha detto “Valentina torna, ci manchi perché eri la prima ad arrivare in palestra e l’ultima a uscire”».
I soldi li investe in Italia?
«Assolutamente sì».
Un uomo importante della sua vita?
«Mio bisnonno, Oliviero Bernieri, emiliano, era un partigiano: gli hanno pure dedicato una via».
Lei diventerà presidente del Coni?
«Non c’è risposta. Prima devo imparare il più possibile per poter dire qualcosa di importante. Tra l’altro mentre il Coni nello statuto ha inserito che almeno la rappresentanza femminile a livello dirigenziale deve essere del 30 per cento, nel mondo dello sport la presenza delle donne è quasi nulla».
Dove sono le 65 medaglie e i vari trofei?
«Sparsi per casa. Farò un museo? Non conta mostrare, conta l’essere».