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 2018  dicembre 22 Sabato calendario

L’improbabile assalto del leghista Borghi all’oro della Banca d’Italia

«Allucinato». Claudio Borghi Aquilini si autodefinisce così. Ma è la sua offensiva a sembrare temeraria. Tutto nasce da una domanda: a chi appartiene l’oro nazionale, le 2.452 tonnellate di prezioso metallo custodite da Bankitalia? Il presidente della commissione Bilancio, nel suo afflato di nemico dell’euro a 24 carati, sceglie di puntare alto: al direttore generale di Bankitalia Salvatore Rossi. Una partita impervia, visto che l’interessato è espertissimo sul tema: delle riserve nazionali Rossi è il sommo custode e sull’argomento lo scorso anno ha anche scritto un libro, «Oro». Mentre l’argomento è uno dei più delicati – e complicati – della politica valutaria non soltanto nazionale. Insomma: Borghi si è lanciato in una crociata improbabile...
A innescare la questione, la risposta data da Rossi ad Andrea Pancani, il conduttore di Coffee Break su La7. Al giornalista che gli chiedeva della proprietà delle riserve, il direttore di via XX settembre ha risposto: «Sull’aspetto giuridico di chi sia la proprietà legale dell’oro, si pronuncerà la Bce a cui abbiamo ceduto la sovranità quando è stato creato l’euro».
La domanda nasceva dal fatto che Borghi il 6 agosto ha presentato una proposta di legge di un solo articolo per «sottolineare la permanenza della proprietà delle riserve auree allo Stato italiano». Secondo Borghi, «semplicemente un fatto di chiarezza interpretativa». Ma la risposta del direttore Rossi ha messo alle corde l’ascoltato consigliere economico di Matteo Salvini, inossidabile sovranista: «È normale chiedere a Francoforte di chi sia la proprietà dell’oro italiano?». Prosegue Borghi: «L’Italia dispone della quarta riserva d’oro al mondo. Davanti a lei, soltanto Stati Uniti, Germania e Fondo monetario internazionale. L’incredibile è che da nessuna parte sul pianeta si pone il problema di chi siano le riserve: è ovvio che le riserve dello Stato sono dello Stato». Eppure, Borghi è stato accusato di voler mettere sotto il controllo dell’esecutivo il patrimonio aureo nazionale. «Macché, chi lo dice è in malafede, basta leggersi le 5 righe di proposta di legge, occorre mettere un punto fermo a una questione che carsicamente riemerge e su cui si è stratificata molta giurisprudenza». Secondo il teorema del leghista, a rendere necessaria una formulazione esplicita è stata la legge del 2014 che ha rivalutato le quote azionarie di Bankitalia (fino a quel giorno simboliche, 156mila euro) detenute dalle banche nazionali: «Una trovata di quei fenomeni del Pd. Non vorrei che questo suggerisse a qualcuno idee strane. Per questo mi sono limitato a dire: mettiamo in chiaro che la proprietà è dello Stato». E meno male che si è limitato.