Corriere della Sera, 21 dicembre 2018
Il panettone amato da Gadda ora è nazionale
In visita alla Fiera di Milano, il 24 aprile 1936, l’Ingegner Carlo Emilio Gadda passava in rassegna le leccornie enologiche regionali finché, arrivato al Chianti, esclamò: «Pericoloso regno!», sconsigliando ai visitatori di «delibare il color locale senza ammollare qualche cosa nello stomaco». Per questo, avvertiva, «ci sono là pronte delle fette di panettone di molto asciutte con le quali poter, prima di bere, pavimentare lo stomaco: quando ne hai giù una o due, di queste fette di questo panettone, allora i “vini d’Italia” si rendono, nonché deliziosi, ma addirittura indispensabili: e direi urgenti, come i pompieri». Chissà se questa funzione protettiva così brillantemente individuata dal grande scrittore milanese potrà contribuire a convincere l’Unesco che davvero il panettone è degno di essere candidato a Patrimonio immateriale dell’Umanità. Per la verità, a sentire Gadda, tutt’altro che immateriale, se diamo retta alla metafora della pavimentazione. Certo, in aprile la secchezza era inevitabile per un prodotto tipicamente nata-lizio: oggi il panettone viene sfornato tutto l’anno e non sarà mai così asciutto come quello del ’36. La candidatura è stata avanzata di recente all’undicesima edizione di Re Panettone, festa del dolce organizzata a Milano da Stanislao Porzio, con una dichiarazione che ne fa quasi una faccenda di orgoglio campanilistico: «Così come giustamente l’arte dei pizzaioli napoletani è stata riconosciuta nel 2017 dall’Unesco, le capacità tecnico-artigianali di matrice milanese dei fornai e pasticcieri che gestiscono il lievito madre, ingre-diente fondamentale del panettone, meritano un riconoscimento di pari livello». E appare come una rivendicazione sacro-santa, anche se non si può ignorare che oggi l’arte del «panatùn», persino quello tradizionale, (così come l’arte della pizza) si è estesa ben oltre la zona geografica ori-ginaria. Infatti vanta autentiche eccellenze dall’estremo Nord all’estremo Sud: da Loison di Costabissara (Vicenza) a Fiasconaro di Castelbuono (Palermo), che ormai distribuisce nel mondo pur mantenendo una mentalità artigianale, con tutte le varianti del tema (manna compresa). E passando per la Focaccia di Tabiano (provincia di Parma) e per il laboratorio del maestro Alfonso Pepe di Sant’Egidio Monte Albino (Salerno). Fatto sta che il Comitato del-l’Unesco non dovrebbe far fatica ad apprezzare questo delizioso modo, ormai universale, di pavimentare lo stomaco.