È frettolosamente rientrato a Kielce, in Polonia, dopo la vittoria a Tú sí que vales, per completare un complesso progetto Paganini che gli toglie il sonno. Il chitarrista Marcin Patrzalek ci parla via Skype dalla casa dei genitori, alle sue spalle un calorifero enorme (le temperature sono rigide in questa stagione) e un crocefisso nero. Non sa ancora di un tweet entusiasta di Steve Van Zandt (Little Steven, chitarrista nella E Street Band di Springsteen e attore nei Soprano e in Lilyhammer) su “un chitarrista polacco di 18 anni che suona la Quinta di Beethoven con una sola chitarra”. Marcin e suo padre Piotr, che gli fa da manager (in patria il ragazzo ha già inciso due dischi per un’etichetta indipendente), sono entusiasti e preoccupati. Il trionfo al talent di Canale 5 è l’ennesima conferma che i Patrzalek hanno in casa un fenomeno — riusciranno a gestirlo? Quella vittoria vuol dire anche di più per Piotr e sua moglie, che anni fa, da fidanzati, emigrarono in Italia in cerca di lavoro. In realtà, i numeri dei social parlano di un successo ancora più vasto: i video della Quinta e diToxicity — una cover dei System of a Down riarrangiata da Marcin — hanno totalizzato oltre 60 milioni di contatti su Facebook, senza contare i milioni di visualizzazioni su YouTube in cui suona Asturias di Isaac Albéniz. «È stato grazie alla rete se negli ultimi due anni ho ricevuto una pioggia di offerte», conferma Marcin, che ora si aspetta la chiamata da una major.
«Ho suonato in Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Germania, Los Angeles e Messico. L’anno prossimo suonerò in Sud Africa, Francia, Norvegia. Sono superfelice».
Il giovane Patrzalek è un talento naturale che lascia increduli.
La chitarra è la sua orchestra, s’incatena allo strumento, con esso ha un rapporto simbiotico, la tratta come un’estensione del corpo, ne cava mille suoni in tutti gli stili che ha finora esplorato — prodigioso e raffinato, mai fenomeno da baraccone.
Classica, acustica, flamenco, jazz.
Melodia e ritmo senza confini.
Un demonio del fingerstyle. E sul palco sicurezza, determinazione e carisma. Esecuzioni torrenziali che fanno pensare ai trascinanti 2Cellos, che però provengono entrambi da una solida gavetta in conservatorio e orchestra.
«Invece la mia love story con la chitarra è iniziata per caso», racconta Marcin. «Avevo dieci anni, vacanze estive alle porte.
Mio padre era preoccupato: avrei trascorso tutto il tempo a far nulla? Così mi iscrisse a un corso di chitarra, dieci lezioni in tutto.
Accadde qualcosa di miracoloso, oddio non vorrei sembrare arrogante adesso, fu come se non avessi fatto altro nella mia vita.
Con l’insegnante ci salutammo con la promessa di rivederci a settembre. Passai l’estate a suonare, suonare e suonare per apprendere da solo le varie tecniche. In autunno fu sorpreso dei progressi che avevo fatto e dopo altri tre mesi di lezioni vinsi il mio primo concorso; un momento glorioso, capii quanto era importante suonare davanti a un pubblico e quanta energia può arrivarti dalla platea. Ero elettrizzato. Continuai a suonare la chitarra classica per altri due anni, poi incontrai Carlos Piñana, un chitarrista di Valencia che mi introdusse al flamenco. Piñana ha sviluppato le potenzialità della mia mano destra; il flamenco è elettrizzante, ormai fa parte della mia formazione».
A tredici anni i genitori gli regalarono per Natale un’acustica autografata dal virtuoso australiano Tommy Emmanuel.
«In realtà non ho mai avuto un maestro di chitarra acustica», confessa il ragazzo, «ho studiato acoustic e percussive fingerstyle su internet. Ho sperimentato molto, volevo fondere i tre stili.
L’ultima scoperta è la chitarra jazz, ho portato a termine con ottimi risultati un corso online di improvvisazione del Berklee College di Boston. Non finisco mai d’imparare». In realtà ha anche fatto domanda per una borsa di studio al Berklee; ha già sostenuto un’audizione a Monaco, tra un mese i risultati. «Userò i centomila euro di Tú sí que vales per vivere a Boston, se mi prenderanno.
La mia famiglia non potrebbe mai permetterselo», mormora.
Prima di prendere lezioni di chitarra, Marcin ascoltava soprattutto metal. «È stato mio padre a farmi conoscere Metallica e Megadeth, più tardi avrei scoperto i System of a Down. Non ho idoli, solo punti di riferimento.
Alt-J, Kamasi Washington, Charles Mingus, Hiatus Kaiyote, Kendrick Lamar, Big Thief. Ma sono affascinato e ispirato dall’arte in generale: in pittura, gli impressionisti, Matisse, Picasso, Van Gogh, i dadaisti — i colori sono una fonte d’ispirazione costante per un musicista. Il mio insegnante mi ha spronato a concentrarmi sulla chitarra classica. Comprendo il suo punto di vista, ma dopo aver scoperto la chitarra flamenca e quella acustica ho capito che non sarei stato felice come concertista, ho bisogno di improvvisare, di creare, di guardare avanti. A Berklee, se mi prenderanno, vorrei studiare sonorizzazioni e colonne sonore per il cinema e cominciare a combinare chitarra e musica elettronica», conclude accarezzandosi le unghie lunghe e laccate della mano destra («per un chitarrista sono importanti quanto le gambe per un calciatore» ). Punta a Glastonbury o alla Carnegie Hall?
Non ha esitazioni: «Il pubblico rock in una sala da concerto».