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 2018  dicembre 21 Venerdì calendario

Intervista a Piero Angela per i suoi 90 anni

Anche una telefonata di auguri con Piero Angela diventa un’occasione per imparare, per ascoltare, per lasciarsi sedurre da un fiume di parole e di competenza. Instancabile e curioso come sempre, il decano dei divulgatori, l’uomo che ha portato la scienza nelle case degli italiani attraverso il piccolo schermo, affronta il novantesimo compleanno (è nato a Torino il 22 dicembre 1928) senza risparmiarsi, raccontando ciò di cui è stato testimone e provando a immaginare il futuro.
Piero, come festeggerà?
«In famiglia, con i miei nipotini.
Ma anche con un gruppo di amici jazzisti. Suoneremo per pochi intimi».
Spegnerà le novanta candeline?
«No, no. Ce se sarà una sola: più aumentano le candeline e più diminuisce il fiato. Meglio risparmiarlo».
È tempo di bilanci.
«Beh, io sono stato molto fortunato a fare questo lavoro».
Dunque, questione di fortuna?
«Non solo. Io non ho mai lasciato passare i treni: sono sempre saltato su. Ho conosciuto colleghi che hanno rinunciato per non cambiare città o per non mettersi a studiare cose che non conoscevano. Ma se invece si accetta di uscire dal recinto in cui ci si sente sicuri possono succedere cose straordinarie. È un po’ come nell’evoluzione della vita: si aprono continuamente nuove strade da esplorare».
C’è qualche nuova strada che sta per imboccare a novant’anni compiuti?
«Sì. Oltre a Superquark, con la Rai annunceremo presto un nuovo progetto che si concretizzerà nel 2019. E poi continuo ad avere tanti interessi al di fuori della tv. Per esempio l’iniziativa avviata con l’Università di Torino per mettere in contatto i giovani con le personalità della scienza, della cultura, dell’economia, si sta allargando anche a Roma Tor Vergata e all’ateneo di Trento».
A proposito di ragazzi. Come sono quelli che incontra oggi rispetto al passato?
«Hanno molti più stimoli, sanno più cose. Quando ero studente c’erano pochissime iniziative culturali, non esisteva il web, non c’era la tv e la radio era paludatissima. Però avevamo di fronte a noi una prospettiva diprogresso che ai giovani oggi sembra preclusa. Sapevamo che studiare ci avrebbe dato buone probabilità di realizzarci nella vita. Ora non è più così. E poi ai miei tempi ci parlavano sempre dei nostri doveri, mai dei diritti.
Era una società molto rigida con i ragazzi. Forse oggi si è ecceduto nel verso opposto».
E lei, finita la festa, cosa dirà ai suoi nipoti?
«Che dovranno comunque studiare molto e seriamente. E cercare l’eccellenza, perché ci sarà sempre bisogno di persone eccellenti. Chi è preparato e creativo può affrontare le novità senza temerle. Credo che questo sia l’insegnamento migliore da lasciare alle nuove generazioni».
Per una vita ha raccontato scoperte e innovazioni. Quali sono i suoi ricordi più belli?
«Non ce n’è uno in particolare, è l’insieme delle cose che ho raccontato: ho scritto 39 libri, dalla psicologia all’economia. E ogni volta ho studiato tantissimo per capire e per farmi capire dai lettori».
Però la conquista della Luna è stata il punto di svolta nella sua carriera di giornalista scientifico.
«Sì, cinquant’anni fa l’ho vissuto in prima persona: ho assistito ai lanci delle missioni Apollo e ho visitato i laboratori della Nasa. È stato entusiasmante. Lì ho deciso che volevo occuparmi di una notizia all’anno piuttosto che di dieci notizie in un giorno, come avevo fatto fino ad allora lavorando per i telegiornali della Rai».
Forse allora era possibile. Lo è ancora nell’era di Internet?
«Il problema del web non è l’approfondimento, ma l’emotività. Con il digitale si è affermata un’offerta d’informazione molto emotiva, che cattura l’attenzione solo per pochi minuti. Certo, se non c’è emotività non si accendono i cervelli, ma bisogna scegliere su quale emotività puntare per interessare il lettore o lo spettatore: quella più becera o quella più alta? Tuttavia le emozioni ci vogliono, perché è così che nasce la memoria».
Ma come si fa a emozionare il pubblico televisivo se si parla di particelle elementari o sistema nervoso?
«Io l’ho fatto e continuo a farlo affiancando storie, personaggi, giochi ai concetti scientifici.
Perché sono convinto che il vero nemico della cultura sia la noia.
Poi è chiaro che gli spettatori, oltre alla tv, devono accendere anche il cervello».
Torniamo ai giovani. Che mondo li aspetta? Lei, in questi novant’anni, è passato dalla radio all’Intelligenza artificiale.
E loro?
«Ci penso quando vedo i bambini giocare al parco: nel 2100 saranno più giovani di me oggi. Ma non riesco a immaginare in che realtà si muoveranno, perché il futuro dipende dalle scelte che si fanno volta per volta. È come nel film Sliding doors: ogni porta che si apre può condurre in una direzione diversa e non sempre vantaggiosa. Penso però che ci siano gli strumenti e le conoscenze per avere un mondo migliore. Sta a noi essere abbastanza intelligenti da scegliere le porte giuste».
Auguri a Piero Angela. E ai novantenni del 2100.