La Stampa, 21 dicembre 2018
L’albero di Natale? Quello vivo è più sostenibile
Riesumati ogni anno da depositi o cantine e agghindati a festa, i nostri alberi di Natale, quelli sintetici per intenderci, sono un segno palese dei tempi. Tempi a dire il vero ormai «virtuali» e spesso contraddittori, nei quali cascate di led, tripudi di addobbi, frotte di Babbi Natali e mandrie di renne sono diventati colpevoli di un globale e pesante inquinamento. D’altronde, diciamocelo pure, l’albero finto non piace a nessuno, ma molti, quasi tutti, si sono convertiti in assoluta buona fede. La tradizionale mattanza degli alberelli di Natale cestinati in pochi giorni ha smosso le coscienze e questo è un bene. Il destino delle piante forse ci è un poco meno indifferente: se non vogliamo prenderci la briga di coltivarle, piuttosto che lasciarle morire meglio rivolgersi a qualche surrogato. La comodità ha poi fatto il resto: niente aghi in terra, nessuna innaffiatura, all’Epifania si ripiega e voilà.
Capita però che alla lunga il gioco si dimostri poco sostenibile, per l’ambiente innanzitutto e anche per la nostra economia. E dunque molto meno eroico di quanto si vorrebbe fare credere, poco più che una grandiosa e affollata operazione commerciale spesso made in China. Questi alberi ahimè non sono affatto riciclabili, per produrli si consuma e si inquina tantissimo, per trasportarli fin in Europa non parliamone. Gli studiosi affermano che il dispendio di energia per ciascuno di essi è circa 50 volte superiore a quello necessario per coltivarne uno vero. Il che vuol dire, se la matematica non è un’opinione, che chi acquista un abete di plastica ogni dieci anni spreca comunque cinque volte il petrolio che servirebbe a garantirgli un ricambio annuale in vivaio.
E che dire del famigerato effetto Serra? Coltivare un albero vivo produce infinitamente meno anidride carbonica, senza considerare poi le benefiche conseguenze della fotosintesi. Se dunque all’albero di Natale proprio non si può rinunciare (io l’ho fatto da tempo, qualche bacca di agrifoglio, un rametto di vischio garantiscono altrettante soddisfazioni: in fondo non si tratta che di simboli...), meglio che sia vivo e vegeto. O quasi: dai boschi possono arrivare rami e cimali, ottenuti da chi di dovere e con le giuste autorizzazioni (informarsi sempre: in questo caso viva la burocrazia!). Alberi di Natale a breve durata, che sono il frutto di necessari interventi di ripulitura e potatura delle abetaie. Ce l’hanno purtroppo ricordato le catastrofi dello scorso ottobre in Veneto e Trentino: con grande intelligenza i resti di quegli alberi straziati sono stati venduti in molte piazze italiane nel weekend di Sant’Ambrogio.
Altrimenti si può comprare un piccolo albero con le sue radici, meglio se già da qualche tempo cresciuto in vaso e non appena szollato. Sono tutti (o almeno dovrebbero) alberi appositamente coltivati in vivaio, spesso in zone dirute di collina o montagna, che vengono in questo modo protette dai rischi di dilavamento ed erosione. E’ un’economia tutta italiana, un vero made in Italy se così si può dire. I più inorridiranno e li capisco bene, ma con qualche accortezza giardiniera il nostro abete può sopravvivere anno dopo anno, rinvasato via via. L’importante è portarlo in casa il più tardi possibile e collocarlo in una zona luminosa e fresca, lontano da stufe, camini e termosifoni. Evitare coloranti e nevi artificiali è di grande aiuto, così come non far seccare troppo il terriccio. Quando poi sarà tempo di ammainarlo, conviene abituare l’albero al gelo di fuori poco per volta e garantirgli un’adeguata pacciamatura. Altrimenti ci si può accordare con il vivaio di provenienza perché lo riprenda.
Qualche anno fa, sotto l’egida del bravo assessore Lavolta, la nostra città aveva varato una giusta iniziativa: i vivai comunali raccoglievano gli abeti natalizi alla fine delle feste, in piccola parte destinandoli ai parchi della collina (rimangono piante da montagna, che da noi devono essere messe a dimora con cautela), in parte triturandoli e facendone cippato per i giardini della città. Era stata l’Ikea molti anni fa ad aprire la via: in fondo il riciclo degli abeti maltrattati non garantirà nuova vita, ma è un modo estremamente concreto e a mio giudizio corretto di affrontare la questione. Lo ribadisco a scanso di equivoci: una persona che ha a cuore il mondo vegetale non può certo gioire per un albero di Natale. E a ben sapere neanche sceglierne uno finto.