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 2018  dicembre 21 Venerdì calendario

Cina e India non sono Paesi per donne

In Cina li chiamano guanggun, «rami spogli». Un’intera generazione di uomini single è all’affannosa ricerca di una compagna per avere un erede. Maschio, perché per la tradizione «la prima figlia è una sventura, la seconda un disastro, la terza un’immane catastrofe, come se il mondo si fosse sgretolato». Questa mentalità patriarcale, che ha profonde radici nella religione di Confucio ed è stata alimentata il secolo scorso dalla politica comunista del figlio unico, ha portato nel «celeste impero» uno squilibrio eccezionale tra i due sessi, del 20%. 
I guanggun che non trovano una donna neppure con i siti di appuntamenti online e i programmi tv per incontri o addirittura andando oltreconfine per «importarla», anche rapendola o comprandola, si consolano con costosissime bambole dallo scheletro di metallo rivestito da pelle in pvc, pagando 3-5 mila euro e oltre. «Non sono pochi gli uomini, disperati ed eccitati, che identificano in loro delle possibili compagne, nell’attesa desolante di una fidanzata in carne e ossa», spiega Gwendolyn Simpson Chabrier.
La scrittrice americana, che ha scelto Roma dopo aver vissuto negli Usa e poi a lungo a Parigi, ha riversato la sua straordinaria passione di viaggiatrice in Paesi come la Cina, l’India, la Birmania e la Thailandia, in molti libri e nell’ultimo, Le bambine scomparse dell’Asia (Armando Curcio Ed.) ha raccolto testimonianze, documenti, dati sul fenomeno sconvolgente delle piccole ancor oggi uccise con l’aborto selettivo o l’infanticidio di genere, abbandonate, vendute, sfruttate nelle società cinese come in quella indiana. 
Solo in Cina 100mila bimbi vengono abbandonati ogni anno e in India 32mila. Nella stragrande maggioranza si tratta di femmine. Succede anche negli ultimi anni, malgrado le leggi abbiano cominciato a difenderle e malgrado l’azione virtuosa di molte associazioni per far rispettare i loro diritti. Succede per la complicità dei governi e della popolazione, che lasciano le norme sulla carta e permettono che il più delle volte non vengano applicate. 
Gwendolyn è cresciuta in una famiglia particolare e già la nonna paterna le ha insegnato a conoscere ed amare i Paesi asiatici. Poi la mamma ha sposato in seconde nozze un personaggio imparentato con gli Windsor, testimone di nozze dei Reali d’Inghilterra Elisabetta e Filippo e nipote di quel lord Louis Mountbatten che fu ultimo viceré dell’impero anglo-indiano e primo governatore dell’India indipendente. La sua predilezione per l’Oriente è maturata negli anni anche con i frequenti viaggi. Nella spettacolare casa nel centro storico della capitale tutto, dai mobili ai quadri, dai tappeti agli oggetti, dalle stoffe alle stoviglie, dai sari alle casacche ricamate che lei indossa, raccontano della frequentazione e dell’amore per queste terre lontane. Anche le terrazze su cupole e campanili sono arredate da budda, statue, dondoli, giostre e tavoli di legno finemente intarsiati, che incessantemente accumula. La scrittrice ha vinto il Premio Bancarella nel 2010 con «Dietro il filo spinato» e il Premio Nabokov nel 2015 con «L’India degli intoccabili», ma nell’ultimo saggio mette il dito nella piaga che offusca l’ascesa di massime potenze mondiali come Cina e India. «Se il livello di civiltà di un Paese si misura dalla condizione della donna, lì è molto basso», dice.
Tutto ciò che scrive, Gwendolyn ha voluto indagarlo e vederlo con i suoi occhi, capirlo di persona, andando in quei Paesi 7-8 volte l’anno e confrontandosi con i testimoni. Ha scoperto così Bibipur, il paesello indiano chiamato «villaggio delle spose», dove nelle ultime elezioni un’organizzazione locale chiamata «Unione degli scapoli» è arrivata a lanciare il motto: «Dateci delle mogli e aggiudicatevi i nostri voti!». È possibile perché in India nascono 1000 neonati per 914 neonate e nell’ultimo ventennio il numero di bambine è calato complessivamente di un milione. Problema più drammatico nel Nord del Paese, povero e ancorato alla tradizione patriarcale. Il paese di Jasalmer, nel Rajasthan, ha il primato del rapporto di genere più basso del mondo: 550 neonate per 1000 neonati.
«Tutto è strettamente legato alla religione induista- spiega la scrittrice- e alle leggi di Manu, in cui il karma femminile era equiparabile a quello di uno schiavo, mentre l’uomo doveva essere adorato e riverito. Mentre in Cina l’idea dell’inferiorità femminile è così radicata nella mentalità da contaminare anche le filastrocche per bambini». Una di queste dice: «Teniamo un cane per sorvegliare la casa,/un maiale per fare una festa o due/teniamo un gatto per acchiappare i topo,/ ma a cosa serve una ragazza come te?».
Qualcosa è cambiato durante la dittatura di Mao, con la legge sulla parità femminile del 1950 e il tentativo di elevare «l’altra metà del cielo», ma 30 anni dopo la Grande carestia e il freno alla straordinaria crescita demografica con la politica del figlio unico hanno riportato la supremazia maschile. In più, i cinesi per tradizione non adottano sconosciuti, solo parenti e le adozioni internazionali sono 1 a 10 rispetto a quelle domestiche. Le sentono come una forma di colonialismo e rimangono per strada 70mila minori. C’è il tasso di suicidi femminili più alto del pianeta, soprattutto nelle zone contadine dove basta un sorso di pesticida per farla finita. Nell’India delle caste non va meglio: alla faccia delle leggi, resistono matrimonio infantile, lavoro e traffico minorile e anche il sistema devadasi, delle sacre prostitute cresciute nei templi fin dai 5 anni di età.