21 dicembre 2018
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Biografia di Anna Galiena
Anna Galiena, nata a Roma il 22 dicembre 1954 (64 anni). Attrice. «Bella di una bellezza matura, pigra, tranquilla, di chi sa che nessuno gliela porterà mai via» (Enrico Giacovelli) • «Mio padre, un uomo borghese, laico e illuminato, aveva per il mio avvenire progetti quieti e ordinati: sognava per me una carriera accademica, mentre io volevo solo disobbedire. Da piccola, forse per gioco, pensavo al balletto: a undici anni facevo parte del corpo di ballo dell’Opera, e, quando papà mi tolse di lì perché temeva sottraessi troppo tempo allo studio, ne patii profondamente. Fino ad allora ero stata una creatura estroversa, solare. Poi iniziò un periodo d’introspezione, connotato da una grande curiosità intellettuale: scaffale per scaffale, metodicamente, ho letto tutti i libri di casa. A diciott’anni ero una ragazza assolutamente cerebrale, convinta che nel mio futuro ci sarebbe stata la scrittura. Per questo rifiutai sdegnata di fare un film del filone “post Decamerone”». «"Ero una ragazza molto ribelle, non sopportavo né la famiglia, che pure era del tipo borghese laico e illuminato, non oppressivo, né l’università, perché la facoltà di Scienze politiche mi destinava a un lavoro dentro un sistema che non sopportavo: più che di sinistra, mi sentivo anarchica, insofferente, disgustata di tutto. Allora me ne andai col sacco in spalla, facendo l’autostop per l’Europa: mangiavo come potevo, dormivo quando trovavo ospitalità, incontravo gente interessante". […] A Toronto Anna ha il suo primo contatto con il mondo dello spettacolo, perché una televisione in lingua italiana le affida la conduzione di un programma: "Capii allora che quel batticuore enorme che si prova in diretta mi esaltava, che fare l’attrice mi sarebbe piaciuto". A New York è stata sette anni, a fare la fame, a studiare, a innamorarsi» (Natalia Aspesi). «Appena arrivata negli Stati Uniti mi sono fatta spiegare quali erano le cose da fare per diventare attrice. Lì esiste una trafila precisa: si acquistano delle riviste, da queste si viene a sapere quando si svolgono i provini, si comincia a recitare nell’off-off-Broadway, alla fine si riesce ad ottenere la tessera dei sindacati, quella che permette di lavorare con tutti i diritti. Ecco, questa chiarezza di cose si è sposata molto bene con il mio carattere, con la mia voglia di fare da sola» (a Fulvia Caprara). «Quando ero a New York, alla fine degli anni ’70, ero in miseria totale, nel senso che non avevo neppure da mangiare, per mia scelta. Non volevo un lavoro che mi avrebbe portato via del tempo, perché dedicavo tutto quello che avevo a studiare recitazione e a lavorare nei teatri off-off-Broadway, dove non si viene pagati. Ne parlai coi miei amici, i miei colleghi altrettanto miserabili, e loro mi suggerirono di prendermi un sugar daddy, un “papà zucchero”, un uomo vecchio che mi mantenesse. Ci pensai, mi feci spiegare come si faceva a trovarlo, poi capii che non ce l’avrei fatta. Scelsi un altro lavoro, la donna di servizio a ore: era duro ma ben pagato, e mi lasciava tutto il tempo che volevo». «I teatri off-off-Broadway sono chiamati showcase, perché sono come delle vetrine in cui si esibiscono i nuovi talenti sconosciuti. "Il passaggio a off-Broadway e poi a Broadway, dove cominciai a guadagnare, lo feci con una Giulietta il cui Romeo era troppo basso, il che ci costringeva a recitare quasi sempre distesi, a letto o per terra. Ma intanto avevo ottenuto quella indispensabile tessera degli attori"». Nel frattempo studiava recitazione all’Actors Studio. «Non è una scuola, come molti credono, ma un club. In Italia tanti attori raccontano di esserci stati, solo perché hanno assistito a qualche incontro. L’abbiamo frequentata io e Francesca De Sapio. […] Quello era un gruppo di geni: Pacino, Kazan, Strasberg. Lavorare con loro era faticoso e crudele. Noi proponevamo un brano, e loro lo analizzavano, erano feroci. Avevo paura, ho paura più o meno di tutto, eppure mi ritrovo a fare tutte le cose che mi spaventano». «Con la sua perfetta pronuncia inglese, non americana, Galiena recitava Shakespeare e Čechov, è stata la protagonista di un celebre Orestea ricreata da Elia Kazan. "Scoprii che avevo raggiunto tutti i miei sogni, e che ero ugualmente infelice. Era arrivato il momento di tornare a casa, di fare pace con un padre che amavo molto e con me stessa. Sentivo il bisogno di quelle radici che avevo detestato, di un Paese che avevo giudicato poco serio, assurdo, levantino, insopportabile. E ho scoperto il buono della nostra origine, il fatalismo, la generosità, la tolleranza, la capacità di vivere in pace degli italiani". Fare teatro in Italia si dimostrò molto più difficile che a New York, neppure il suo curriculum prestigioso le servì: un po’ di televisione, un po’ di cinema senza storia, la tendenza dei produttori a invitarla a cena, la decisione di tornare negli Stati Uniti: "Poi arrivò inaspettato dalla Francia quel bellissimo regalo che è stato Il marito della parrucchiera, e ho scelto di vivere a Parigi"» (Aspesi). «Qual è la ragione per la quale Leconte l’ha voluta come "immagine della seduzione" nel Marito della parrucchiera? "Ha visto una mia foto, e ha detto di averci letto ‘una sensualità, un’ironia, e insieme la malinconia dovuta a una ferita profonda…’. Erano esattamente le caratteristiche del personaggio del suo film. Di mio, come attrice, io non ho fatto altro che restituire al personaggio un’emozione che mi piace: il desiderio di essere desiderata"» (Anna Maria Mori). «"Il film racconta la storia di una passione, di un sogno di un uomo che ha conservato intatta l’istintività e la spensieratezza dell’adolescenza; trova la donna ideale in una dolcissima e silenziosa parrucchiera, Anna Galiena, e vorrebbe che il sogno non finisse mai. Quel salone diventa il centro del mondo; e lei lo accondiscende in questa passione ossessiva spinta a ogni limite…". Così il regista Patrice Leconte (Monsieur Hire, Tandem) raccontava il suo film Il marito della parrucchiera, la storia di un’ossessione amorosa, interpretata da una coppia stravagante e perfetta: l’ironico Jean Rochefort, nel ruolo di un adulto mai cresciuto, e la sensuale Anna Galiena. […] Il marito della parrucchiera ha fatto scoprire al pubblico italiano Anna Galiena. […] Nel ruolo di Mathilde, silenziosa presenza nella penombra del salone, tra profumi e lozioni, la Galiena diventò subito il simbolo di una femminilità misteriosa, ideale» (Silvia Fumarola). Si aprì così la sua stagione di maggior successo cinematografico, che negli anni Novanta la vide impegnata in ruoli di primo piano sia in Italia sia all’estero: tra le pellicole più importanti di quel periodo, Prosciutto, prosciutto di Bigas Luna (1992), Il grande cocomero di Francesca Archibugi (1993), Senza pelle di Alessandro D’Alatri (1994), La scuola di Daniele Luchetti (1995), Celluloide di Carlo Lizzani (1996), Tre vite e una sola morte di Raúl Ruiz (1996). «“Lavoravo con registi che adoravo, in Italia e all’estero”. […] Lei ha dato fiducia a Gabriele Muccino ai tempi di Come te nessuno mai. “Il suo primo film era passato abbastanza inosservato, Ecco fatto. Fu difficile incontrarci: mi cercava nel ’98 quando ero in crisi e volevo una lunga pausa dal lavoro. Non sopportavo l’eccesso di immagine di me in giro. Avevo bisogno di essere sola e nell’anonimato. […] Avevo detto all’agente che non volevo incontrarlo, ma lui era insistente. Per convincermi disse, balbettando: “Vorrei che vedesse il mio film precedente”. Ne sono rimasta conquistata. Mi ha mandato la sceneggiatura. E io, con il bagaglio pronto per andarmene in Inghilterra, […] l’ho letta e non ho potuto non incontrarlo. Ci siamo visti e mi ha preso il cuore. Ho rimandato il viaggio, ho fatto il film, bellissimo. E poi ho fatto il viaggio, ma solo di sei settimane: poi sono tornata a casa perché mio padre si è ammalato. Ma quelle sei settimane da sola, lo zaino sulle spalle, camminando trentacinque chilometri al giorno in Inghilterra, sono state una grande cosa. È stata la mia fuga più grande dal mondo. Avevo un telefono portatile che accendevo ogni tanto per dire alla mia famiglia che stavo bene. Ma non parlavo con nessuno» (Arianna Finos). Nel 2002 fu la volta di Senso ’45 di Tinto Brass, in cui recitò al fianco di Gabriel Garko nel ruolo che era stato di Alida Valli. «È stato un film diverso da quello previsto. Che ho molto esitato a fare. Dicevo a Tinto: “Non ho a che fare con il mondo tuo”. Ma la sceneggiatura era bella. Avevo letto Senso di Boito: la sceneggiatura di Brass era più fedele alla novella di quella per il film di Visconti, che ne aveva fatto una cosa idealizzata e romantica. Il libro raccontava un mondo agghiacciante, senza personaggi postivi. Brass aveva rispettato questa qualità negativa, e aveva trasposto il film alla fine della guerra a Venezia, periodo che conosceva. Tinto ha insistito, abbiamo messo i puntelli di sicurezza: “questo no, questo no”. Poi – devo dirlo, e infatti non ho fatto la promozione del film – Brass ha fatto un paio di scelte, girando e montando cose che io non avevo visto, che per me facevano scadere il film. Non mi dissocio dal film: il mio lavoro lo difendo, e difendo la sceneggiatura. Ma è diventato qualcosa che non era ciò che avrebbe dovuto essere». La versione di Brass (che l’aveva scelta «perché ha fianchi tizianeschi, vita strizzatissima e seno opulento: il mio immaginario erotico è questo»): «Venne qui per Senso ’45, tirò una tenda e, scatenata, si denudò: “Ho poco pelo lì”. Il film non riuscì. In certi casi voleva la controfigura, e io: no! La considero la meno intelligente di tutte quelle che ho incontrato». In seguito partecipò a numerose altre produzioni cinematografiche italiane e internazionali, senza tuttavia eguagliare i successi precedenti; parallelamente prese parte ad alcuni sceneggiati televisivi, e soprattutto continuò a dedicarsi al teatro. Negli ultimi anni è apparsa al cinema in Un’estate in Provenza (2014) di Rose Boch, come coprotagonista al fianco di Jean Reno, e in ruoli non di primo piano in Nessuno si salva da solo (2015) di Sergio Castellitto e ne La prima cosa bella (2016) di Paolo Virzì. Sul piccolo schermo è stata nel 2017 una dei concorrenti di Ballando con le stelle (Rai Uno), venendo eliminata alla terza puntata; ha inoltre recitato ne Il bello delle donne… alcuni anni dopo (Canale 5, 2017), ed è stata apprezzata nei panni della ginecologa della serie di Francesca Archibugi Romanzo famigliare (Rai Uno, 2018). Tra i suoi più recenti impegni teatrali, la commedia di Norm Foster Diamoci del tu (regista Emanuela Giordano, coprotagonista Enzo Decaro) e la pièce di Josiane Balasko Notte di follia (regista Antonio Zavatteri, coprotagonista Corrado Tedeschi) • Due matrimoni alle spalle: il primo con un artista statunitense, il secondo con un produttore francese. Da ragazza fu per qualche mese legata a Gianni Minà • Vive a Parigi dai primi anni Novanta. «“Ero sposata con un francese e vivevo a Parigi. All’inizio non mi piaceva affatto per via del clima terribile e punitivo. […] Ma, visto che viaggiavo tanto tra Los Angeles, Spagna, Marocco e altri posti caldi, di sole ne vedevo comunque parecchio, per cui ho resistito per un po’. Poi, dopo il divorzio, dopo 8 anni di matrimonio, mi chiesi se fosse il caso di andarmene o meno. Mi ritrovai in una casa vuota, perché lui si portò via tutto. Nonostante ciò, pensai: “Non importa che si porti tutto via, purché se ne vada anche lui”. A quel punto le alternative erano due: o andarmene o riempire di nuovo la casa. Ma non sapevo dove andare, e in fondo non avevo voglia di spostarmi. Cercai un’alternativa tra Barcellona, Milano e Genova. Non mi andava di tornare a Roma. Nel frattempo, mentre ragionavo sulla mèta, ricominciai ad arredare piano piano la casa, fino a ritrovarmi così bene da non provare più il desiderio di muovermi da lì. A Parigi vivo ormai da molti anni, in compagnia del mio adorato gatto bianco di quasi 14 anni [nel 2017 – ndr]. Il gatto nella mia vita c’è sempre, mentre tutto gli altri vanno e vengono”. Com’è l’Italia vista dall’estero? “Ho smesso di preoccuparmi di cosa pensassero i francesi dell’Italia per non litigare. Li ho sempre trovati presuntuosi e snob. Si sono attribuiti l’invenzione del formaggio, del vino e di tante altre cose, ma non è così. Quindi ad un certo punto ho smesso di litigarci. Hanno avuto sempre gli stessi problemi dell’Italia, come ad esempio la corruzione. In passato, per esempio, hanno deriso l’Italia nel momento in cui ha dovuto fare i conti con determinati problemi, come quelli legati a Mani pulite. Qualche anno dopo, però, hanno avuto gli stessi problemi anche loro. Quindi, chi sarebbero i corrotti? Solo noi italiani? Direi proprio di no”» (Tommaso Martinelli) • «Ha costruito la sua carriera "scegliendo in base alla qualità delle storie, senza fare discriminazioni fra teatro, cinema o televisione"» (Fumarola). «La sua carriera è strana. Dopo i grandi successi non ha seguito un iter comune. “Se non è successo, è perché io non l’ho voluto far accadere. Ho corso dei rischi: certe cose sono riuscite, altre meno, e quelle che sono andate peggio erano frutto di scelte ponderate”» (Michela Tamburrino). «Dopo Il marito della parrucchiera la volevano tutti. Ha detto anche dei “no”? “Tanti, perfino in America: i film d’azione non mi interessavano, e ho sempre voluto fare quello che mi pareva”. […] Oltre ai film e alle fiction, fa anche tanto teatro. “È quello con cui ho iniziato, e che mi ha sempre dato tanto. Al cinema mi sento un’operaia: faccio qualcosa che poi tocca ad altri assemblare. A teatro, invece, ci si sente artigiani: lavori sul pezzo, nessuno ti può manipolare”» (Caprara). «La scelta professionale più azzardata? “Non ci ho mai davvero pensato. Forse un film austriaco, Vino santo, visto che non parlo tedesco e il film era in tedesco. C’eravamo io, Raf Vallone e Alida Valli. Poche scene in italiano e il resto in tedesco. Praticamente dormivo con la coach. Quando mi hanno invitata a Vienna per l’anteprima ho scoperto che avevano lasciato la mia voce. Una bella soddisfazione”» (Finos) • «Finissima signora del teatro e del cinema» (Aspesi) • Temperamento passionale. «Di Anna Galiena ti colpiscono da subito due cose: il "piacere del corpo", vale a dire la fisicità antica e un po’ sontuosa che anche il vestire più punitivo non riesce a cancellare, e insieme, senza contraddizione, senza cedimenti alla tentazione del "chiamami, sarò la tua oca giuliva…", il "piacere del cervello". […] Anna Galiena, o "della seduzione": "Cominciamo col precisare che la seduzione non coincide necessariamente con la bellezza", ride. E racconta: "Facevo la prima liceo all’Augusto, a Roma. Nella mia classe, c’erano ragazze sofisticatissime, con un fisico da modelle. Io ero sempre lasciata un po’ in disparte: stavo da sola. Un giorno litigo con una di loro, che mi dice: ‘Alle mie amiche tu non sei simpatica, perché con quei tuoi calzettoni, il cerchietto nei capelli da bambina per bene, anzi, da santarellina, tu piaci ai ragazzi più di tutte le altre: parlano solo di te. Forse perché tu gli fai gli occhi dolci…’. Ricordo che rimasi malissimo. Mia madre, […] vedendomi tornare a casa in lacrime, mi ha portato in camera sua, e mi ha interrogata. Tra le lacrime, io le ho raccontato. E lei mi ha rassicurata: ‘Le tue amiche parlano della civetteria. Che è una vera e propria arte: non c’è niente di male a coltivarla’. Ho cercato di guardarmi dentro: da che mi nasceva questa spinta del tutto naturale e inconsapevole verso la civetteria? E ho capito: il fatto è che a me i ragazzi piacevano moltissimo. Avevano sguardi diversi rispetto a noi ragazze, e mani diverse: avrei voluto toccarli, averli… Io ero timida, insicura, mi vedevo troppo alta, troppo seria, pensavo di non piacergli, e così guardavo a quella loro diversità che mi affascinava con lo sguardo della timida: in tralice, tra il desiderio e la paura… Ma mai, neanche da ragazzina, e tanto meno oggi, ho pensato ad attuare delle manovre calcolate, per piacere, per conquistare: io se ho guardato, e guardo gli uomini, è sempre stato con uno sguardo aperto, con dentro un desiderio, questo sì… La mia è una propensione al sogno: non al calcolo". […] "Io credo di far parte, insieme, dell’antico e del moderno: la donna antica che è in me è legata alla mia parte romantica, tutta casa-nido-cuore; poi però c’è anche la donna moderna, quella che ha combattuto e si è fatta da sola con la sua parte maschile, e che vuole, con il suo uomo, un rapporto paritario… Queste due parti di me a volte sono in contrasto l’una con l’altra: mi sento un po’ Circe, e un po’ insegnante di liceo… Soffro di schizofrenia"» (Mori) • Nel 1995 un sondaggio la proclamò moglie ideale degli italiani. Venutane a conoscenza, dichiarò: «Sono contenta, ma preferirei che mi vedessero come l’amante ideale. Credo nella passione come elemento essenziale di un rapporto: non potrei restare in nessuno posto e in nessun matrimonio se si spegnesse la passione» • «Del femminismo non sono una teorica: l’ho vissuto sulla mia pelle, quando ho preso in mano la mia vita e mi sono ribellata agli schemi di un ambiente conservatore. […] A 11 anni mi colpì molto la “piccola” differenza tra maschile e femminile. Sentivo parlare con ammirazione degli uomini che avevano un’amante, mentre le donne con amante erano scandalose. Poi capii che l’uomo era unico e le donne erano divise: la moglie e la puttana. Decisi di superare la contraddizione appropriandomi dei mezzi di produzione, cioè il mio corpo. È mio, posso farne quello che voglio. Considero l’orgasmo femminile legittimo quanto quello maschile: il piacere è un diritto per tutti. L’importante è che sia io a decidere: non posso, oggi come allora, accettare che una donna viva secondo le decisioni di un altro, padre, fratello o marito, passando da un padrone all’altro. […] Da piccola era piacevole sentirmi dire che ero carina. Era un qualcosa in più, che rendeva più facili i rapporti. I guai sono cominciati da adolescente e poi da donna, quando il desiderio di un uomo, se non corrisposto, diventava un’oppressione, un’imposizione vissuta come una colpa. Mi vestivo di maglioni e camicioni informi, volevo mimetizzarmi. E soffrivo, mi sentivo umiliata come essere pensante. Oggi è diverso. Sono veramente libera, so dire “no” ad un uomo che non mi piace senza sentirmi in colpa. E, quanto alla bellezza, se mi fanno un complimento sono felice» (a Maria Pia Fusco).