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 2018  dicembre 21 Venerdì calendario

Pensionare per assumere

ROMA Maggiore spesa previdenziale contenuta a circa 4 miliardi nel 2019, che però risalgono a 8,3 e poi a 8,7 nei due anni successivi. É questo il costo che il governo accetta di sostenere per mandare in pensione anticipata, rispetto alle regole della riforma Fornero, alcune centinaia di migliaia di italiani. Un’operazione che certamente va a toccare un nervo ancora scoperto nel Paese, ma che allo stesso tempo inverte una tendenza che durava da 25 anni, nei quali i diversi esecutivi che si sono succeduti hanno ritenuto di dover ridurre il debito previdenziale verso le generazioni future, a beneficio della stabilità complessiva del Paese.
IL MECCANISMOLa scommessa del governo è duplice: da una parte svuotare con il meccanismo di quota 100 il bacino di coloro che erano appunto rimasti bloccati dalla drastica riforma del 2011, dall’altra liberare spazi nel mercato del lavoro, favorendo quindi le assunzioni. La possibilità di uscire con 62 anni di età e 38 di contributi dovrebbe essere offerta solo per tre anni, per poi essere superata dalla riduzione a 41 del requisito contributivo per la pensione anticipata già oggi in vigore. In questo modo l’effetto per strutturale della misura risulterebbe depotenziato, sempre che nel 2021 il governo che ci sarà abbia la forza politica di imporre un rialzo dei requisiti.
Intanto però nella legge di Bilancio non c’è solo quota 100. Altre misure puntano a fare cassa nell’immediato per compensare almeno in parte l’aumento della spesa derivante dai maggiori flussi in uscita. Così è stato riproposto in forma appena ammorbidita il meccanismo che riduce l’indicizzazione al costo della vita delle pensioni in essere (al di sopra dei 1.520 euro lordi mensili), destinato a venir meno il prossimo anno. Viene definito raffreddamento: la rivalutazione viene riconosciuta ma in percentuale via via ridotta al crescere dell’assegno. In qualche modo quindi sono coloro che si trovano già in pensione a dover contribuire a finanziare le uscite anticipate. Gli importi risultano più contenuti ma non trascurabili: 253 milioni il primo anno, 745 il secondo, 1,2 miliardi il terzo. Lo schema è stato diluito rispetto alla versione originariamente introdotta dal governo Letta nel 2014 e poi applicato per cinque anni. L’adeguamento sarà pressoché totale (97 per cento) fino ai 2.028 euro lordi mensili, poi si ridurrà fino ad arrivare al 40 per cento per gli assegni oltre i 4.560 euro mensili. Ancora più su, a 100 mila euro lordi mensili, scatta il contributo di solidarietà per le pensioni retributive. Il prelievo durerà cinque anni e sarà applicato a scaglioni, con percentuali dal 15 al 40 per cento. In tutto riguarda poco più di 24 mila trattamenti (di cui solo 23 superano il mezzo milione di euro l’anno). In termini netti, ovvero tenendo conto delle minori entrate fiscali, il beneficio per lo Stato è calcolato intorno agli 80 milioni di euro l’anno. Nella visione di Luigi Di Maio, soldi che dovrebbero finanziare l’innalzamento a 780 euro dei trattamenti minimi e sociali. Di questo intervento però non c’è traccia nel maxi-emendamento: è possibile che – data la complessità della materia – finisca in una legge delega e quindi entri in vigore in solo in un secondo momento. L’esecutivo rischia però seriamente di dover difendere l’intervento sulle pensioni alte davanti alla Corte costituzionale: nell’attuale testo non è prevista nemmeno esplicitamente una destinazione solidaristica di questi risparmi, condizione posta in passato dalla Consulta per affermerne la legittimità.
Luca Cifoni