il Giornale, 21 dicembre 2018
Trump si prepara a rimuovere Powell
A più di 24 ora dalla decisione presa dalla Federal Reserve di alzare i tassi, Donald Trump è rimasto silente. Un mutismo assoluto e inusuale, neppure violato da un cinguettio. Sembra quasi che il presidente Usa, prima di prendere posizione contro Jerome Powell «il pazzo», voglia lasciar sfogare i mercati. Che da mercoledì sera stanno mostrando il pollice verso alla quarta stretta del 2018 (imitata ieri dalla Banca di Svezia col primo aumento dal 2011). Quella che, secondo alcuni, trascinerà l’America nella palude della recessione proprio per la miopia della banca centrale Usa, insensibile ai segnali di crisi che arrivano da Wall Street e dall’economia.
Ma mentre gli indici hanno continuato ad avvolgersi nella spirale ribassista (-1,8% New York anche per effetto del paventato shutdown, male l’Europa con Milano giù dell’1,9%), in quella che Steven Mnuchin, segretario americano al Tesoro, ha giudicato una reazione «eccessiva», ieri l’interrogativo più gettonato nelle sale operative era su quali saranno le contromosse di The Donald. Fallita la ruvida moral suasion a colpi di tweet con cui invitava Eccles Building a smetterla di gonfiare i tassi come palloncini (nove aggiustamenti al rialzo dal dicembre 2015), l’inquilino della Casa Bianca potrebbe ora sganciare la bomba: ovvero, chiedere la testa di Powell. Già qualche settimana fa, Saxo Bank aveva messo il licenziamento del successore di Janet Yellen tra gli eventi choc del 2019 e indicato come prossimo numero uno dell’istituto di Washington il presidente della Fed del Minnesota, Neel Khashkari, detto Great Enabler (il grande facilitatore), tra i fan più accesi delle politiche monetarie super-allentate. Per il tycoon, l’uomo giusto al posto giusto nel momento giusto.
Cacciare dalla stanza dei bottoni l’ex amico Jay non sarà però una passeggiata, malgrado la legge del 1913 che regola l’attività della Fed preveda che il comandante in capo degli Stati Uniti possa rimuoverne i governatori per «giusta causa». E qui sta il punto: non aver obbedito ai desiderata di Trump sui tassi è da considerarsi motivo sufficiente per un allontanamento, oppure Powell ha agito nell’ambito dei poteri di autonomia e di indipendenza riconosciuti alla banca centrale? Precedenti non ve ne sono nell’ultra-decennale vita della Fed. Nessun presidente è infatti mai stato defenestrato. Ci provò nel 1965, ma senza successo, il presidente americano Lyndon Johnson, in disaccordo con la politica monetaria restrittiva perseguita dall’allora leader della Fed, William McChesney Martin. Gli avvocati dissero a Johnson di lasciar perdere: la contrarietà all’aumento dei tassi non era da considerarsi una «giusta causa». Trump dovrebbe insomma seguire strade alternative. Tipo quella di portare lo scontro a un livello tale da costringere Powell a dimettersi, come accadde a Thomas McCabe, capo di Eccles Building dal 1948 al 1951 e bersaglio principale di Harry Truman. Oppure, The Donald potrebbe ricorrere al vecchio, ma sempre inossidabile, promoveautur ut amoveatur e scegliere di seguire l’esempio di Jimmy Carter, che dopo appena un anno rimosse dal vertice Fed William Miller per metterlo alla guida del dipartimento del Tesoro. Vista la facilità con cui il tycoon ha fatto fuori numerosi componenti del suo staff, certo non sarebbe un problema trovare un posto a Jerome. Per poi magari toglierlo di mezzo, con calma, più tardi.