La Stampa, 20 dicembre 2018
Intervista a Claudio Marchisio: «Io, il calcio e un mondo da cambiare»
A chilometri di distanza da Torino Claudio Marchisio si sente ancora chiamare principino, «il soprannome mi ha seguito fino in Russia, meno male che ora mi piace. Pensare che era nato perché io e Balzaretti andavamo al campo in giacca e cravatta...». Principino era l’etichetta data a un talento elegante che ci si immaginava concentrato su se stesso invece ora è il titolo che si dà a un uomo sensibile e curioso.
Come è la Serie A vista da lontano?
«Molto meglio di come ce la raccontiamo, facciamo le vittime, ma l’evoluzione è enorme e va oltre il fattore Ronaldo».
Anche se la Juve sta facendo un altro campionato a sé?
«Il Napoli è cresciuto, la Roma ha dato prova di carattere nonostante l’andamento alterno, l’Inter cerca continuità. Le rivali crescono solo che la Juve è avanti di tanti anni. Lo stadio di proprietà, il marchio che parla al mondo... quella J è come l’incastro delle lettere sul cappellino dei New York Yankees. Per quel livello ci vuole tempo e soprattutto servono idee».
Oltre a Ronaldo. Dispiaciuto di non giocare con lui?
«I miei figli mi hanno sgridato “papà, arriva lui e tu te ne vai?”. Tutti trattano Ronaldo come una star di Hollywood e ha pressioni assurde che in campo non si vedono quasi mai. È arrivato qui rincorso dai problemi: il fisco spagnolo, le accuse di stupro, non sono situazioni semplici da gestire. Ci vuole testa. Non è solo fortissimo, riesce a dare ulteriore qualità a chi ha vinto sempre. È trainante».
Porterà la Champions? La Juve non ha avuto un sorteggio fortunato con l’Atletico Madrid.
«La Juve non si può permettere di vederla così. Quest’anno ha la consapevolezza di poter vincere»
Nella finale 2017 non c’era?
«Non abbiamo vinto quindi qualcosa mancava. Credo a livello di concentrazione e determinazione... La grinta messa a Cardiff per recuperare la partita sull’1-1 è scivolata via ed è successo ben due volte. Stessa storia a Berlino, con il Barcellona. Dani Alves raccontò a me e Barzagli che loro hanno davvero avuto paura di perdere quella sera».
E voi di vincere?
«In una finale non sono concesse distrazioni. Paghi tutto, ma l’ambiente bianconero adesso merita quel trofeo».
Non avrebbe nemmeno un briciolo di rammarico se lo vincessero proprio ora?
«Forse per un secondo mi dispiacerà, ma io sono juventino. Sono stato su in curva, poi giù in campo ora sono tornato su in tribuna e ho vinto così tanto con quella maglia che non può esistere un rimpianto».
Nemmeno quello di essere stato quasi costretto ad andare via?
«Era il momento. Dopo tanti anni, a Torino avevo dato tutto. Trovare ogni stagione nuova linfa, nello stesso ambiente, con le stesse persone è dura. Migliorarsi con costanza in una sola società è complicato, per questo chi ci riesce si chiama bandiera».
Si è abituato al calcio russo?
«Ci ho messo del tempo a capire che lì è tutto molto fisico e poco tattico, è un calcio muscolare».
Toglie definitivamente i dubbi sulla sua presunta precarietà fisica?
«Direi di sì, ma qualsiasi polemica ci sia stata è davvero superata. Sto bene, lo Zenit è una squadra ambiziosa con 100 anni di storia e ha dei tifosi da brividi che cantano dal primo minuto all’ultimo pure quando si perde».
Gli juventini non sono così?
«È diverso. A San Pietroburgo c’è una sola squadra e allo stadio c’è la città intera. Nei primi 5 minuti cantano sempre l’inno dei club e gli avversari ascoltano perché è un pezzo di Russia. Li sono molto patriottici».
In Italia siamo patriottici?
«Più umorali, tormentati. Io comunque sono molto legato al mio Paese, proprio per questo, in un momento dove emergere è difficilissimo, ho voluto lanciare una start-up: cerco progetti da sostenere, so che ci sono persone brillanti che hanno solo bisogno di una possibilità».
Come procede?
«Ho lanciato l’offerta via social e scoperto che i giovani non si fidano più di quel che circola lì, sono diffidenti. Giustamente le proposte viaggiano poi su canali diretti. A fine stagione valuterò le idee più interessanti e mi impegno a promuoverle, magari qualcuno darà soluzioni per l’ambiente, tema che mi è caro».
I cambiamenti climatici la spaventano?
«Siamo la prima generazione che capisce il vero pericolo di tutte le trasformazioni in atto e sappiamo che senza una svolta si va verso rischi catastrofici. È tempo di reagire. Quando i miei figli disegnano i paesaggi io faccio loro notare che il fiume non è più blu, il Po è marrone. Non basta ovvio, si tratta di politica, di tanti soldi, di uno stacco culturale».
Molti suoi colleghi evitano di dare opinioni via social, lei ha sostenuto Silvia, la volontaria rapita in Kenya.
«Devo insegnare ai miei figli solo a tirare calci a un pallone? Già non ho mai fatto un lavoro normale: il calcio è un guscio protetto. Non so, ho solo un po’ di coraggio: sono consapevole di espormi a commenti feroci, però dico la mia. Vedo che l’infelicità si sta trasformando in odio ed è pericoloso che la politica solletichi certi timori»
Riguardo alle scritte infamanti su Superga ha twittato: «La deriva verso il baratro che si percepisce anche da cosi lontano».
«Certi si giustificano con la passione per il calcio che da noi porta agli estremi. No, qui si parla di odio, di mancanza di rispetto: non ci sono scuse».
Che effetto le fa vedere il ministro dell’Interno con i capi ultrà del Milan?
«Devo per forza rispondere? Non mi sono mai piaciuti certi atteggiamenti. Detto ciò, gli ultimi governi non li avevamo scelti, ora c’è stata una votazione e vediamo dove ci porta. Spero solo che il futuro sia migliore di quello che mi immagino».
Stupito di vedere Conte fermo?
«Al contrario. Lui dà tantissimo alla squadra e ai tifosi e la pausa che si è preso gli farà bene. Tutte le energie le butta nel lavoro: so che cosa passano i giocatori con lui e so quanto possono imparare con lui, la tregua di ora sarà un vantaggio per il suo prossimo club».
Stupito che Allegri si sposi?
«Si sposa sul serio?»
Così pare.
«Ha fatto decantare l’idea del matrimonio come si fa con il vino, ha aspettato tanto, se dice sì vuol dire che è felice».
La nazionale è in via di guarigione?
«Come il Paese va ad alti e bassi: male nel 2010, in finale agli Europei nel 2012, male in Brasile, emozionante nel 2016 e poi i Mondiali mancati. Credo che Mancini stia provando a dare equilibrio. All’Italia questo serve».