Corriere della Sera, 20 dicembre 2018
Il top gun italiano: «Le donne fra noi Frecce Tricolori? Questione di tempo»
Fino a 17 anni non aveva mai visto un aereo da vicino. Oggi ne ha 39 e ha alle spalle oltre 4.000 mila ore di volo, anche in zona di conflitto all’estero. Il capitano Mattia Bortoluzzi, tuta blu d’ordinanza, sorriso aperto e accogliente, è «Pony 6» delle Frecce Tricolori, una delle tre figure di riferimento della pattuglia che grazie alle sue acrobazie, eseguite a 500 km orari e accompagnate dalle scie di fumo che colorano il cielo, è tra i simboli più ammirati del nostro Paese. A bordo dei loro Mb 339, i dieci piloti sono saliti sul podio riservato alle migliori pattuglie del mondo. Il segreto sta nella forza del gruppo, nella capacità di porre l’insieme davanti a tutto, come ha spiegato il generale Giorgio Baldacci ritirando assieme a Bortoluzzi il premio Gentile da Fabriano sul valore della squadra.
Capitano Bortoluzzi, qual è il segreto di una squadra vincente?
«La comunicazione: parlarsi e affrontare i conflitti, anche in maniera costruttiva. Da noi vengono ascoltati tutti i pareri, anche quello dell’ultimo arrivato».
E come la mettete con le antipatie?
«Abbiamo la fortuna di poter scegliere i piloti che entrano nelle Frecce Tricolori, selezionando chi si addice alle caratteristiche del gruppo».
Si può imparare a lavorare con gli altri o è un’attitudine?
«Si può migliorare. In aeronautica entri giovane e subito ti insegnano a fare gruppo».
E lei come ha cominciato?
«Io vengo da un paesino nelle montagne bellunesi, Tambre. Ho trascorso un’infanzia tra i monti, con la passione per la velocità, i motori, le moto... Lì è difficile anche immaginarseli gli aeroplani, magari senti il rumore quando passano. Mi sono avvicinato all’aeronautica tardi, verso i 17 anni. Mio cugino mi propose di andare a una manifestazione a Treviso e lì ho visto per la prima volta gli aeroplani dell’Aeronautica militare. Metteteci anche i film dell’epoca: “Top Gun” l’avrò visto 100 volte. Tutta la mia generazione è entrata in aeronautica contagiata da quel film...».
E i suoi genitori come l’hanno presa?
«Mamma è mancata più di 13 anni fa e purtroppo non mi ha visto nelle Frecce. Mio padre è stato presidente della comunità montana della nostra zona e vicesindaco. È fiero, appena può mi segue».
Il momento più duro?
«La selezione iniziale. Il primo anno, durante il quale prendi il brevetto di pilota, è il più difficile. Viene valutata la propensione al volo e quindi ti spingono molto avanti. Pensavo di non farcela».
Ha mai avuto paura?
«Se si intendono quei momenti di spavento per un errore tuo o di altri, o per qualcosa che va fuori dal tuo controllo, in 20 anni di carriera ne ho provati eccome».
Come si governa la paura?
«Con l’addestramento continuo: cerchiamo di ridurre al minimo l’imprevisto».
Si lancia con il paracadute?
«No, non ci è richiesto, e l’idea non mi entusiasma».
Quando ha capito di aver fatto carriera?
«Non ci ho mai pensato. Sono nelle Frecce da tempo e quindi sono tra i più anziani. La pattuglia è formata da 10 piloti, uno o due rinnovati ogni anno. All’interno della formazione ci sono tre figure principali, piloti che, dopo anni da gregario nelle altre posizioni, assumono uno di questi ruoli: Pony 1, il capo-formazione che comanda la linea davanti, di 5 aeroplani; Pony 10 che è il solista; e poi c’è il 6, leader della seconda sezione. Quando la formazione si separa in due, io prendo il comando del rombetto formato da 4 aeroplani. Sono responsabile della tempistica di incroci e ricongiungimenti, le fasi più delicate in una manifestazione aerea».
I ricordi più emozionanti?
«Non può non rimanerti impresso il giorno in cui il comandante delle Frecce ti chiama e ti dice che sei il nuovo pilota della pattuglia, un’emozione incredibile».
La sua giornata tipo?
«Per tutti i piloti la giornata inizia alle 8 con un briefing sul meteo. Durante il periodo invernale voliamo 2-3 volte al giorno con sessioni di circa 40 minuti. Tutto in vista della stagione acrobatica che comincia a maggio e termina a settembre, vedendoci impegnati ogni fine settimana in Italia e all’estero».
È diverso volare in prova o in esibizione?
«C’è la carica emotiva per essere di fronte a migliaia di persone. Fino a quando sali sull’aeroplano la senti molto, poi ti concentri solo sul volo».
Cosa rappresenta la divisa?
«Le Frecce rappresentano l’Aeronautica militare e quindi tutti gli uomini e le donne che lavorano dietro le quinte per garantire sicurezza del nostro Paese. Sentiamo di rappresentare l’Italia ed è incredibile l’affetto delle persone quando siamo all’estero».
Ci sono donne nelle Frecce?
«Non ancora in volo. Nelle Forze Armate ci sono donne pilota di velivoli ad alta prestazione, ma le donne sono entrate in aeronautica nel 2000 e quindi finora poche hanno raggiunto l’esperienza necessaria per accedere alle selezioni. Ma è solo una questione di tempo».
A proposito di donne, avete lo stesso successo di Tom Cruise-Top-Gun?
«(ride) Non proprio».
Come va con la forma?
«Ogni pilota decide di tenersi in forma come vuole. Già volare due o tre volte al giorno ti allena».
Il rischio condiziona la vita privata? Lei si sposerà?
«Prima o poi sì. Molti colleghi sono sposati con figli».
Un pregio e un difetto
«Sono un po’ permaloso. Il pregio è difficile, non ci ho mai pensato».
Prodigo?
«Beh, quando qualcuno ha bisogno ci sono sempre».