La Stampa, 20 dicembre 2018
Intervista a Giorgio Locatelli, il nuovo giudice di Masterchef
Cinquantacinque anni, un piglio amichevole che mette subito l’interlocutore a proprio agio e una moglie, Plaxy («Non è un diminutivo, ma un nome tipico della Cornovaglia, particolare e intrigante come lei») che lo aiuta nelle pubbliche relazioni, Giorgio Locatelli è già una star in Gran Bretagna. Sarà la sorpresa della prossima edizione di MasterChef in onda dal 17 gennaio. Nato a Corgeno di Vergiate (Varese), Locatelli non ha praticamente mai lavorato in Italia: l’ha lasciata a vent’anni per cercare fortuna all’estero e ora il suo ristorante, la Locanda Locatelli, propone a Londra l’alta cucina italiana più fedele a quella vera.
Chef Locatelli, Nils Hartman, il responsabile dei prodotti originali Sky, ha detto che lei è «rock’n’roll».
«Dico la verità, non penso di esserlo molto, sono cresciuto in una famiglia dove la musica non c’era per niente. Sì, forse avevamo una radio, ma era quasi sempre spenta. Di Londra mi ha sempre colpito l’atmosfera più che la musica. E poi tra me e mia moglie la rocker è lei: da ragazza frequentava i Clash, erano amici. Forse a Sky hanno apprezzato la mia attitudine disincantata, distante da quella di certi chef tromboni e pesanti come il piombo».
Va in controtendenza rispetto allo stereotipo dello chef dittatore.
«Con la brigata in cucina ci vuole intelligenza, precisione e polso fermo ma anche leggerezza. Non ho mai considerato figo chi umilia le persone sul lavoro. Ho sofferto tantissimo quando ero alle prime armi. Ho lavorato in Francia per un anno e mezzo, mi chiamavano “Italiano di m.”, ci stavo come un cane. Tutti i giorni mandavo giù bocconi amari ma ho sempre pensato che se fossi diventato uno chef non mi sarei mai comportato così».
Ricordi vivi, che bruciano ancora.
«Recentemente ne ho parlato con Massimo Bottura, che ha avuto percorsi simili: io lavoravo alla Tour d’Argent e lui con Alain Ducasse. Dopo quell’esperienza sono andato dallo psicologo per un anno e mezzo, mi era venuta un’infezione alle braccia, somatizzavo tutto. Lo chef Manuel Martinez era un orco che trattava gli altri come pezze da piedi. Fu anche coinvolto nello scandalo del 15% che ribaltò il mondo degli stellati francesi: un giro di tangenti, del 15%, appunto, sulle forniture dei grandi ristoranti. Quelli erano “superchef” che facevano girare il nostro mondo secondo canoni che oggi sembrano medioevali».
Quindi non lancerà i piatti nel lavandino, come è accaduto a MasterChef.
«La prima volta che ho parlato con Sky ho chiarito che le mie reazioni sarebbero state molto inglesi e così sarà. Non umilierò mai nessuno. E poi sa quanto costano i piatti? Ai miei camerieri dico di stare attenti perché valgono un occhio della testa, figuriamoci se ne rompo uno».
Antonino Cannavacciuolo ha detto che lei è l’amico che avrebbe sempre voluto.
«Durante le registrazioni ci siamo trovati molto bene. È eccezionale: per quel poco che l’ho frequentato in Italia, mi sono reso conto che ha una grande popolarità. Anche Bruno Barbieri e Joe Bastianich mi sono simpatici, abbiamo passato belle serate insieme.
Sa che fra pochi mesi sarà popolarissimo, vero?
«Mia moglie è preoccupata, facciamo le ferie in Puglia e ha paura che non potremo più andarcene in giro per i fatti nostri come prima. L’ho tranquillizzata mentendo: le ho detto che in Puglia ilo segnale di Sky non arriva».
Sua madre Sky la vede, eccome.
«Vive a Corgeno, neanche un’ora da Milano, quando finivo presto le registrazioni andavo a trovarla. Lei è sempre stata e sempre sarà la mia fan numero uno».
Perché emigrare all’estero? L’Italia non la ispirava o semplicemente era più difficile trovare lavoro?
«Tutte e due le cose sono vere, anche se per la verità la componente “curiosità” del mio carattere ha prevalso su tutto. Mi piaceva l’idea di andare da qualche parte a rimboccarmi le maniche e a dimostrare quanto fossi capace di cavarmela da solo. È stata durissima, soprattutto perché, negli anni in cui ho cominciato io, il nonnismo in cucina era pesante. È una forma di bullismo che ti facevano digerire come il prezzo da pagare per crescere professionalmente. Ma poi è un marchio che ti segna per la vita».
Non le è mai balenata per la testa l’idea: adesso mollo tutto e torno a casa?
«Se è successo non me lo ricordo e se non me lo ricordo ci sarà un motivo. Sono uno che quando inizia a fare una cosa vuole portarla a termine. Sono cresciuto con certi valori, grazie alla mia famiglia. Ora mi rendo conto che me li hanno instillati, non a parole, ma con i giusti comportamenti».