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 2018  dicembre 20 Giovedì calendario

A pranzo con Dickens e il vecchio Scrooge

Nella stanza rischiarata dalla luce delle candele, riscaldata dal fuoco di uno scoppiettante caminetto, un tacchino ripieno troneggia sulla tavola imbandita. Tutto è pronto: i posti sono assegnati, il nome di ciascun ospite sul piatto, in un angolo l’abete con le decorazioni, su una credenza i doni impacchettati. Ma stavolta siamo invitati anche noi. Per il 175esimo anniversario della pubblicazione di Il canto di Natale, il Charles Dickens Museum di Londra apre le porte in una veste nuova: ricreando il menu del 25 dicembre nella casa del grande scrittore. Dickens è considerato l’inventore del Natale contemporaneo: senza il suo racconto sull’avaro Scrooge che si converte alla solidarietà umana, ispiratore di decine di rappresentazioni, film e perfino fumetti, la festività non sarebbe la stessa cosa. Ma il cibo aveva un’importanza fondamentale per l’autore di Oliver Twist, che da bambino, come l’orfanello protagonista del suo più famoso romanzo, conobbe la peggiore miseria. E la mostra sulla sua gastronomia natalizia, Food glorious food: Dinner with Dickens, contiene anche una lezione morale.
Il museo al 48 di Doughty Street, a Bloomsbury, quartiere dell’omonimo circolo letterario, è l’abitazione in cui Dickens visse con la famiglia all’inizio della sua folgorante carriera: ci entrò nel 1837 quando era un romanziere alle prime armi, ne uscì pochi anni più tardi come una star, partendo per un tour degli Stati Uniti dove fu accolto in trionfo. È una casetta di quattro piani in stile georgiano, con i vani angusti, la tappezzeria alle pareti, le scale che scricchiolano. Un immobile di questo tipo, nella capitale britannica, oggi vale svariati milioni di sterline, ma allora era relativamente modesto. Le camere hanno mantenuto l’arredamento originale. Inclusa la cucina, nel seminterrato. Dove fervono i preparativi per il pranzo (o cena, a seconda delle tradizioni) di Natale.
In Inghilterra, nell’Ottocento, la scelta di cosa servire in tavola il 25 dicembre dipendeva dal ceto e dai soldi: «Per i poveri il coniglio, per i contadini il maiale, per la classe lavoratrice l’oca, per la classe media il tacchino e per l’aristocrazia cacciagione», riassume Pen Vogler, curatrice dell’esibizione. A casa Dickens le pietanze seguono le indicazioni di What shall we have for dinner, un libro di ricette opera di Catherine, moglie dello scrittore. È un pasto di più portate, come richiedono l’occasione e l’importanza degli ospiti, fra cui spicca William Thackeray, l’autore di Il falò delle vanità, collega ed amico di Dickens. Si comincia con zuppa di cavoli e formaggio, seguita da frittelle ai funghi e insalata di barbabietole. Quindi gnocchetti di riso, salmone al curry e cosciotto di montone farcito alle ostriche, di cui Dickens era particolarmente ghiotto. Il gran finale è il tacchino ripieno, poi tocca ai dolci, crema di limone” all’italiana” e budino di prugne, che dopo l’uscita di A Christmas carol verrà universalmente ribattezzato Christmas pudding. Più tardi, insieme a punch e vin brulè, vengono serviti biscotti e macaron, i dischetti di meringa alla mandorla, classico della pasticceria francese: gli inglesi ne vanno matti. Da notare, per assonanza, che in cucina risalta – perlomeno agli occhi di un visitatore italiano – una pentola colma di sottili maccheroni: il ricettario di lady Dickens contiene numerosi suggerimenti su come cucinarli, dal “timballo di maccheroni” ai “maccheroncini con pomodoro e pancetta”, per tacere della “zuppa di vermicelli”. Segno di come la cucina italiana avesse fatto proseliti fra i sudditi di Sua Maestà britannica ben prima della globalizzazione.
Natale in casa Dickens, per parafrasare Eduardo, somiglia dunque a una grande abbuffata. Ma a parte che i pasti delle feste duravano ore, fondendo pranzo e cena in un unico evento, l’abbondanza riflette l’atavica fame sofferta dallo scrittore nei primi anni di vita. Come ricorda la proverbiale preghiera di Oliver Twist, quando il rancio a base di farinata scompare in un battibaleno: “Per favore, signore, ne vorrei ancora”. Invocazione che per Charles Dickens nessun bambino dovrebbe mai fare. A Natale o qualunque altro giorno dell’anno.