20 dicembre 2018
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Biografia di Emmanuel Macron
Emmanuel Macron (Emmanuel Jean-Michel Frédéric M.), nato ad Amiens (Somme, Francia) il 21 dicembre 1977 (41 anni). Presidente della Repubblica Francese (dal 14 maggio 2017). Già ministro dell’Economia, dell’Industria e del Digitale (2014-2016). Fondatore (6 aprile 2016) ed ex presidente (2016-2017) de La République En Marche • Figlio di un neurologo e di una pediatra. Fondamentale nella sua formazione fu la nonna materna, «l’amatissima Manette Noguès, […] il faro e il baricentro della sua vita e cioè la donna che aveva creduto in lui, che l’aveva formato, aveva saputo spronarlo e premiarlo, svezzarlo e educarlo, prof […] ma figlia di un capostazione e di una cameriera analfabeta, col culto della meritocrazia repubblicana. Era un’eccentrica che non aveva tempo di cucinare, e recitava a memoria i versi di Baudelaire e Lautréamont. Per quel nipote prediletto, nato dopo la morte di una sorellina in fasce, rappresentava l’amore senza riserve e la conferma di un destino speciale» (Marina Valensise). Studiò dapprima ad Amiens in un istituto gestito da gesuiti, quindi a Parigi presso l’esclusivo Lycée Henri-IV, diplomandosi nel frattempo in pianoforte al Conservatorio di Amiens. Dopo aver vanamente tentato per due volte di accedere all’École normale supérieure, frequentò in parallelo l’Istituto di studi politici di Parigi (Sciences Po) e la facoltà di Filosofia dell’Università di Parigi-Nanterre, completando entrambi i percorsi di studio; nel frattempo lavorò come assistente editoriale del filosofo Paul Ricoeur, all’epoca impegnato nella stesura della sua ultima opera, La mémoire, l’histoire, l’oubli. Seguì, tra il 2002 e il 2004, l’elitaria École nationale d’administration (Ena), storica fucina della classe dirigente francese. «Uscito a pieni voti dall’Ena, Macron entra come funzionario nel prestigioso Ispettorato delle finanze, dove incontra Jean-Pierre Jouyet, […] uomo per tutte le stagioni e figura emblematica del potere occulto della Quinta Repubblica. […] Sotto l’ala protettiva di Jouyet, a neanche 30 anni il giovane Macron è nominato dal presidente Sarkozy membro della prestigiosa Commissione Attali, un think-tank che riunisce i grandi imprenditori e uomini di affari francesi […] e che ha lo scopo di formulare le linee di politica economica da suggerire al governo. Qui Macron conosce Serge Weinberg, che lo fa entrare alla Rotschild Bank, dove lavora per quattro anni pilotando una fortunatissima operazione finanziaria da nove miliardi di euro, diventando a sua volta milionario: l’acquisto di una filiale della Pfizer da parte del gruppo Nestlé. “Se fosse rimasto nel settore delle banche private, sarebbe diventato il migliore negoziatore in tutta Europa”, commenta François Henrot, braccio destro di Édouard de Rothschild, quando Macron decide di rientrare in politica. È il 2012, e Jouyet lo vuole come vicesegretario all’Eliseo. Anche Hollande rimane folgorato dall’entusiasmo e dall’iperattivismo di Macron, tanto che nel 2014 lo nomina ministro dell’Economia del governo Valls» (Daniele Zaccaria). In tale veste, «tra i suoi interventi c’è addirittura la legge sul lavoro che porta il nome della ministra El Khomri, il Jobs act alla francese, e che trascinerà nelle piazze centinaia di migliaia di francesi. Lui la difende, e anzi chiede di andare oltre, modificando il limite massimo delle 35 ore settimanali per ciascun dipendente: è il segno che il ragazzo può parlare a un elettorato non solo socialista» (Martina Castigliani). «Da responsabile del dicastero di Bercy si è anche occupato dello spinoso caso Renault, per risolvere il quale fece salire lo Stato dal 15 al 20% del capitale della casa automobilistica controllata dalla giapponese Nissan» (Giuseppe Baselice). «Era il 31 agosto 2016, e il ministro dell’Economia Emmanuel Macron lasciava il governo Valls dopo due anni di lavoro sotto la presidenza di François Hollande. Lui, pupillo dell’ex presidente uscente, aveva creato ad aprile 2016 il movimento “En Marche!” facendo credere a tutti che la sua fosse una specie di formazione giovanile per rilanciare il partito. Aveva altro in testa. La corsa di Macron comincia così sul finire dell’estate, e in pochi mesi il 39enne può ambire alla poltrona della presidenza. A settembre qualcuno ci prova, a implorarlo di restare: “Che partecipi alle primarie”, gli dicono da più parti. Ma questo avrebbe voluto dire sfidare l’ex primo ministro Manuel Valls e logorarsi, secondo la sua ottica, nelle lunghe battaglie politiche interne. Quindi, senza pensarci troppo, e mentre tutti lo accusano tra i drammi di essere un traditore, rinuncia e va per la sua strada. I francesi […] decidono di premiarlo: il solo fatto di aver sbattuto la porta in faccia al partito gli fa ottenere l’etichetta di anti-sistema. La magia a Emmanuel Macron riesce in poche settimane: ex ministro dell’Economia in uno dei periodi più difficili in quanto a tagli e manovre per la presidenza Hollande, ma soprattutto ex banchiere a Rothschild, […] diventa all’improvviso il giovane rampollo che sfida l’establishment. Nemmeno il fatto di aver studiato all’Ena (École nationale d’administration) gli fa perdere consensi. […] In un clima di disaffezione alla politica e rabbia sociale, Macron arriva sulla scena con i modi felpati del vincitore. Rompe gli indugi il 16 novembre mentre è in visita a un centro di formazione per i lavoratori a Bobigny, banlieue di Parigi che mesi dopo sarà protagonista di rivolte per lo stupro di un ragazzo da parte della polizia. “Voglio unire i francesi, non la destra o la sinistra”, dice il neocandidato. È l’inizio di un’operazione per convincere tutti che lui è la soluzione per la Francia. […] La verità è che a Macron viene facile, e lo aiutano tutti. Prima ci sono le primarie fratricide dei socialisti: lui non solo li osserva da fuori senza commentare, ma nemmeno presenta il suo programma, per evitare che i candidati del Ps parlino di lui e distolgano l’attenzione dall’uccidersi l’uno con l’altro. Finito il calvario per gli altri, […] svela i suoi punti per rilanciare il Paese. Neanche il tempo per gli esperti di analizzarne la fattibilità, che il destino galantuomo punisce il favorito François Fillon: scoppia lo scandalo dei presunti impieghi fittizi a moglie e figli, e viene praticamente eliminato dai pronostici. Quanto a Macron, in tutta la campagna fa un solo passo falso, quando va in visita in Algeria: definisce la colonizzazione un crimine contro l’umanità e si guadagna le critiche di chi lo accusa di voler rinnegare la storia della Francia. La risposta rievoca uno dei suoi modelli, Charles de Gaulle: “Je vous ai compris”, dice chiedendo scusa. Funziona. Come funziona lo stesso tono che usa al grande meeting di Lione a inizio febbraio: “Je vous aime farouchement”, dice con le mani aggrappate al suo leggio, che significa più o meno “vi amo ferocemente”. Le frasi sono sempre quelle: “Io sono pronto”, “Sono qui per guidarvi e per proteggervi”. Quasi sussurra ai francesi, e loro ci credono, che andrà tutto bene» (Castigliani). Impostosi nell’arco di pochi mesi all’attenzione dell’elettorato grazie alla sua pretesa autonomia dai partiti tradizionali e a un programma sostanzialmente liberaldemocratico e marcatamente europeista che lo contrapponeva ai contendenti «anti-sistema» di destra e di sinistra, il 23 aprile 2017, al primo turno delle elezioni presidenziali (cui partecipò il 77,77% degli aventi diritto), Macron risultò con il 24,01% dei consensi il candidato più votato, superando di misura la candidata del Front national Marine Le Pen (21,30%), a propria volta seguita a breve distanza dal repubblicano François Fillon (20,01%) e dal radicale di sinistra Jean-Luc Mélenchon (19,58%). Assai netta fu invece due settimane dopo, il 7 maggio, la sua vittoria al secondo turno (cui partecipò il 74,56% degli aventi diritto), in cui batté la Le Pen grazie al 66,10% dei consensi, diventando così, a 39 anni, il più giovane presidente francese della storia e il più giovane capo di Stato francese dai tempi di Napoleone. «I voti che Macron riceve al secondo turno delle presidenziali non sono pochi. […] I sondaggi di opinione, però, non rivelano un grande consenso: il primissimo, a maggio 2017, segnala anzi una leggera prevalenza di persone che lo disapprovano (46% contro il 45%). Sarkozy e persino Hollande avevano iniziato meglio; solo Chirac era meno amato. La primissima fase vede comunque una tenuta dei consensi. Poi cominciano a pesare le Macronades (o, in tono più dispregiativo, le Macroneries): le gaffe del presidente. Un solo esempio: il 2 luglio, all’inaugurazione di Station F, il campus di start-up di Parigi che ha sede nell’ex magazzino merci della Gare d’Austerlitz, dichiara che “una stazione è un luogo dove si incontrano coloro che hanno successo e coloro che non sono niente”. Non è proprio una gaffe. Al presidente piace, elitariamente, premiare i “primi della cordata”. Una cosa è però lodare e incentivare chi apre nuove vie, un’altra cosa è disprezzare chi è dietro. A luglio si assiste anche alla prima crisi istituzionale: Macron rimprovera pubblicamente, senza nominarlo, il capo delle forze armate Pierre de Villiers, che, messo di fronte ai tagli alle spese militari, aveva dichiarato: “Non mi lascerò fottere (baiser, in francese, ndr) così”. Villiers si dimette, scatenando le polemiche. I suoi consensi calano fino al 30% in un sondaggio YouGov di agosto. Poi, da settembre, e inaspettatamente, le quotazioni di Macron aumentano. I sondaggisti sono sorpresi: non è mai accaduta una ripresa così decisa. In questa fase Macron vara le sue prime riforme, e nel discorso della Sorbona a settembre riesce – unico leader del Vecchio Continente – a proiettare il tradizionale nazionalismo del Paese in uno scenario europeo ed europeista. A dicembre, un sondaggio gli accredita un 54%, ma anche il più severo YouGov gli attribuisce un 41%. A gennaio 2018, una nuova inversione di marcia. Scatta l’aumento delle contributions sociales généralisées, imposte destinate a finanziare i servizi sociali. Per i pensionati, in particolare, passano dal 6,6% all’8,3%, con una perdita del potere d’acquisto: è proprio questo il tema dominante nel dibattito pubblico (aumentano pure le accise sui carburanti). Pesa anche la rinuncia a costruire l’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes – politicamente l’equivalente dell’italiana Tav – nel Nord-Ovest, considerata come un cedimento ai manifestanti. Il consenso cala – ancora una volta nei sondaggi YouGov – fino al 32%. In primavera, la tenacia del governo nei confronti dello sciopero degli cheminots, i ferrovieri, vale a Macron un timido recupero dei consensi. Il dissenso torna però ad accelerare a luglio con lo scandalo del consigliere per la sicurezza (ora ex) Alexandre Benalla scoperto a picchiare alcuni manifestanti. La vicenda accende la luce sull’entourage del presidente: il prefetto di Parigi, Michel Delpuech, parla di “derive individuali inaccettabili, in un retroterra di favoritismi malsani”. Da agosto, è uno scossone dopo l’altro. Il ministro della Transizione ecologica Nicolas Hulot – da sempre più popolare di Macron – dà improvvisamente le dimissioni dopo aver subìto rinvii, compromessi e frenate nella sua politica. Il 4 settembre lascia la ministra dello Sport Laura Flessel, forse per prevenire uno scandalo fiscale, e il 3 ottobre va via, in anticipo rispetto ai programmi, il ministro dell’Interno Gérard Collomb, che preferisce diventare sindaco di Lione. Ad agosto il consenso per Macron scivola fino al 23%, e passa al 21% a fine ottobre» (Riccardo Sorrentino). A metà ottobre 2018 aveva iniziato a prendere forma la protesta dei cosiddetti «gilet gialli», «movimento sociale nato spontaneamente sul web per denunciare l’aumento delle tasse sulla benzina (3 centesimi) e sul diesel (6 centesimi) introdotto da Emmanuel Macron a partire dal 1° gennaio 2019 – l’obiettivo del presidente, all’orizzonte 2022, è rendere meno costosa la benzina rispetto al diesel, più inquinante, e favorire la transizione ecologica. […] Nessuno aveva visto arrivare questa nuova coalizione di arrabbiati, formatasi in poco più di tre settimane tra una petizione, una pagina Facebook e un video con sei milioni di visualizzazioni. Una coalizione proteiforme, di semplici cittadini, automobilisti, lavoratori, abitanti della provincia, che non ha leader politici né guru sindacali a guidarla, ma è determinata a sventolare il suo gilet catarifrangente, simbolo della sicurezza stradale, fin davanti all’Eliseo per lottare contro il rialzo della Contribution climat-énergie (Cce), la cosiddetta “tassa carbone”. […] La mobilitazione […] contro il rincaro del carburante è anche una protesta contro il senso di isolamento di una certa Francia, quella che non si sente coinvolta dalla dinamica riformista di Macron, non gode dei vantaggi della globalizzazione e si sente vessata dalla pressione fiscale» (Mauro Zanon). Nell’arco di poche settimane, il movimento ingrossò notevolmente le proprie file, occupando le strade di Parigi e di buona parte della Francia in modo sempre più rumoroso e aggressivo; ciononostante, Macron rifiutava di scendere a compromessi con i manifestanti, rivendicando con orgoglio i provvedimenti contestati. «Violenza inaudita, sospetti di manipolazione straniera sui social network, protesta spontanea e con comprensibili rivendicazioni economiche e sociali di partenza che via via si organizza lungo direttrici inquietanti, fino a esplodere in maniera organizzata e distruttiva. Non tutti i conti tornano nell’interpretazione del fenomeno dei “gilet gialli”, movimento polimorfo in grado di federare la Francia che si sveglia presto al mattino per andare al lavoro a decine di chilometri da casa, l’estremismo di destra e di sinistra e una guerriglia urbana professionale. Le ragioni apparentemente oggettive per le quali i francesi sono scesi in piazza erano tutte ben presenti nella campagna elettorale che nel 2017 ha portato Emmanuel Macron a vincere le presidenziali. Ritirata dello Stato e delle sue istituzioni dalla provincia (la chiusura degli uffici postali nella France périphérique e l’impossibilità per molti paesi di trovare un medico condotto sono piccoli grandi traumi per le comunità locali), la contrapposizione tra centro e periferia, quest’ultima intesa sia come ruralità sia come realtà periurbana, una periferia di agglomerati senza particolare identità territoriale che sfumano verso la campagna. Tutto ciò, e il conseguente aumento delle diseguaglianze di reddito e di una disoccupazione in forte crescita nella periferia e in arretramento nei centri grandi e medi, era ben presente due anni fa e domina il dibattito politico nazionale da almeno un decennio. Una vecchia e profonda ferita della società francese che la vittoria di Macron aveva momentaneamente (e artificiosamente) richiuso. […] Oggi sappiamo che dietro il giallo si eleva una cortina fumogena che avvolge e soffoca le ideologie tradizionali, e non solo i cortei di protesta. Il tentativo è di riuscire là dove Marine Le Pen e altre forze estreme avevano fallito» (Attilio Geroni). Il 10 dicembre, esasperato dall’assedio sempre più violento dei manifestanti e spaventato dal crollo verticale dei suoi consensi (secondo alcuni sondaggi sarebbe stato superato dalla Le Pen), Macron capitolò. «In un discorso di 13 minuti andato in onda al tg delle 20 e registrato poco prima all’Eliseo, Emmanuel Macron si è finalmente rivolto ai francesi dopo i giorni dei disordini e delle invocazioni al ripristino dello stato di emergenza. Ha detto di comprendere una “collera profonda, che sento come giusta sotto molti aspetti. Può essere la nostra opportunità”. Il presidente ha per prima cosa condannato le violenze promettendo che “non beneficeranno di alcuna indulgenza”. Un preambolo atteso dalla grande maggioranza dei francesi, che non è mai scesa in strada con i gilet gialli. Ma poi, invece delle misure speciali per l’ordine pubblico di cui si è parlato dopo i saccheggi e gli incendi a Parigi e nel resto della Francia, Macron ha decretato simbolicamente uno “stato di emergenza economico e sociale” accogliendo alcune richieste fondamentali dei gilet gialli e mostrando di avere capito il “momento storico”, così lo ha definito, vissuto dal Paese. […] In concreto, il presidente ha annunciato l’aumento di 100 euro dello Smic, il salario minimo (oggi a 1.184 euro netti) percepito da 1,6 milioni di persone, e “senza alcun costo per il datore di lavoro”. A partire dall’inizio del 2019 gli straordinari saranno pagati senza tasse né contributi, i bonus di fine anno saranno defiscalizzati, e soprattutto i pensionati che prendono meno di 2.000 euro al mese non dovranno più pagare l’aumento dell’imposta Csg giudicato odioso dai gilet gialli e riconosciuto come “ingiusto” da Macron. […] Il presidente ha poi annunciato di riflettere a una riforma della legge elettorale. […] Nonostante gli sforzi evidenti, Macron non ha potuto abbandonare quell’aria da giovane tecnocrate che tanti gli rimproverano, e che lo ha accompagnato anche quando nel finale ha toccato la corda dei sentimenti pronunciando parole come “La mia sola preoccupazione siete voi. La mia unica lotta è per voi. La nostra sola battaglia è per la Francia”. Ma per la prima volta Macron ha mostrato che è capace di cambiare idea e di riconoscere i propri errori: una prova di maturità offerta ai gilet gialli e soprattutto ai tanti francesi che lo hanno portato all’Eliseo, non un secolo ma 18 mesi fa. “Ho ferito alcuni di voi con le mie dichiarazioni”, ha ammesso Macron. E ancora: “Non siamo riusciti a rispondere alla vostra collera”» (Stefano Montefiori). «Diciamo la verità, senza malinconia: il liberalismo se l’è fatta sotto, e non è mai stato un pugile ben allenato nel ring della politica» (Giuliano Ferrara). Ciononostante, le proteste non sono cessate • «Macron conosce la donna della sua vita mentre è alle scuole superiori: lui ha 16 anni, e lei, Brigitte Trogneux, 24 anni più di lui, è insegnante di francese e latino, sposata e madre di tre figli. A un corso di teatro di cui Brigitte è responsabile, fra i due scocca la scintilla. E a nulla serve l’allontanamento a Parigi – per frequentare l’ultimo anno di superiori – del giovane e determinato Macron, che ha le idee ben chiare. La relazione fra i due va avanti. Lui le promette che la sposerà. E ha ragione. Brigitte lascia il marito, e nel 2007 i due si sposano. La coppia oggi è inseparabile e affiatata» (Giulia Cerqueti). «È lei, Brigitte, il motore della discesa in campo del candidato di En Marche!, è lei il suo atout, come dice lui. […] Sessantenne e filiforme, occhi cobalto, un caschetto d’oro alla Mireille Darc e una predilezione per i vestiti di Louis Vuitton. È lei adesso col suo amore esclusivo, peraltro benedetto anzitempo dalla nonna, il baricentro di Macron. […] L’unico amore e l’unica donna della sua vita. Unica, sola e sovrana» (Valensise). Secondo quanto riferito da Maëlle Brun, autrice di una biografia della Trogneux, nel 1993 Macron avrebbe scritto un romanzo erotico ispirato al suo rapporto con l’insegnante • Inizialmente propalate da mezzi d’informazione russi allo scopo di screditarlo, si sono fatte nel tempo sempre più insistenti le voci circa sue presunte tendenze omosessuali (con tanto di presunti amanti, identificati ora nell’ex presidente di Radio France Mathieu Gallet, ora nel suo ex pretoriano generosamente beneficato Alexandre Benalla), cui lo stesso Macron ha riconosciuto dignità di notizia, preoccupandosi più volte di smentirle pubblicamente • Appassionato di sport, pratica tennis, sci e pugilato. Tifoso dell’Olympique Marsiglia, durante i mondiali di calcio del 2018 assistette alla semifinale e alla finale disputate dalla Francia, producendosi in manifestazioni di sfrenata esultanza in seguito alla vittoria • «Non è mai stato un presidente davvero popolare. La ventata di novità che ha portato nella vita politica francese e la vittoria su Marine Le Pen hanno alimentato a lungo l’immagine che lui ama proporre di sé: il presidente-filosofo, […] Giove all’Eliseo, il giovane erede di Napoleone Bonaparte e Charles de Gaulle. […] La sua cultura politica, la funzione che ha deciso di svolgere in Francia e le sue scelte concrete hanno […] sempre puntato a un irrigidimento e a un rafforzamento del ruolo delle aristocrazie francesi. Non è chiaro quindi se riuscirà a convincere la Francia, dove soffia forte sia il vento del populismo sia quello dell’égalité, che i suoi sforzi saranno sinceri» (Sorrentino) • «La democrazia implica sempre un certo genere di incompletezza, perché non è sufficiente a se stessa. Lo si nota nel processo democratico e nel suo funzionamento. Nella politica francese manca la figura del re, e credo davvero che il popolo francese non volesse ucciderlo. Il Terrore ha scavato un vuoto emotivo […] collettivo: il re ci ha lasciati! Abbiamo poi cercato di riempire questo vuoto, inserendo altre figure: ecco il periodo napoleonico e poi quello gollista. […] Dopo la dipartita del generale De Gaulle, […] la normalizzazione della figura presidenziale ha cercato di riempire questo posto vuoto al centro della vita politica. E infatti quello che ci si aspetta dal presidente della Repubblica è che svolga questa funzione. Tutto è stato costruito su questo equivoco» (Macron nel 2015).