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 2018  dicembre 20 Giovedì calendario

Tutto il mondo è mandala nel tempo dell’inglesorum

La definizione scientifica sarebbe quella di anglolatinismi, ma se parliamo di inglesorum ci capiamo più in fretta. Sono le parole di origine latina riportate in auge dal loro utilizzo nella lingua inglese o addirittura trapiantate di peso dalle pagine di Cicerone e Vitruvio ai manuali di informatica. A partire dall’insospettabile computer, che deriva dal verbocomputo, “tengo il conto”, per arrivare all’assillo della privacy, che altro non è se non un’evoluzione dell’aggettivo privatus, che a Roma designava il comune cittadino (e privateè, non a caso, il soldato semplice dell’esercito americano, come il famoso private Ryan al cui salvataggio partivano gli eroi delfilm di Spielberg).
L’inglesorum lo trovi nei luoghi più impensati, ma in compenso il latino è ovunque, come dimostrano Paolo Cesaretti ed Edi Minguzzi nel prezioso Dizionarietto di latino edito da Scholé (pagine 352, euro 19,50) a un anno di distanza dall’analogo e fortunatoDizionarietto di greco compilato dagli stessi autori. Per strano che possa apparire, l’impresa di oggi è ancora più delicata rispetto a quella già tentata. Che nelle nostre conversazioni quotidiane si nascondano reminiscenze del greco (il nome di discipline come economia e fisica, per esempio, ma anche il ricorso a una metafora o il vagheggiamento di un’utopia) può infatti essere una scoperta più o meno sorprendente. Ma che l’italiano discenda dal latino è una nozione data tanto per scontato da non suscitare più la dovuta attenzione. Ed è un problema, perché è proprio questa la «rete comune d’Europa» evocata dal sottotitolo del nuovo Dizionarietto: se vogliamo tornare a capirci, a Bruxelles come a Visegrád, è da qui che dobbiamo ripartire. Cesaretti e Minguzzi (bizantinista dell’Università di Bergamo lui, glottologa alla Statale di Milano lei) lo rendono evidente fin dalla copertina del libro, che riporta una mappa del Vecchio Continente attraversata da quelle che parrebbero linee della metropolitana e sono invece i tracciati delle viae romanae maiores.
Al posto delle fermate ci sono, com’è giusto, le principali città dell’epoca, con il nome riportato alla dizione latina: Augusta Raurica è l’embrione di Basilea, Argentoratae sta a due passi da Strasburgo, Istanbul si chiama ancora Byzantium e via elencando.
La continuità fra latino e lingue romanze, italiano in testa, è sotto gli occhi di tutti, ma quel che non si vede – e che il Dizionarietto di Cesaretti e Minguzzi riporta in superficie – è la trama fittissima di relazioni tra culture diverse di cui già l’età classica rende testimonianza e che ora più che mai è opportuno riscoprire. Prendiamo una parola in apparenza semplicissima come “mondo”. L’etimologia è sovrabbondante fino a sfiorare la contraddizione. Da una parte c’è l’aggettivo mundus, “puro, pulito”, dall’altra un sostantivo dall’aspetto identico, che rimanda a un elegante monile d donna. L’idea è la stessa espressa dal greco kòsmos, ossia il rimando alla bellezza come forma della realtà, solo che in latino agisce la memoria della radice sanscrita da cui scaturisce il mandala, simbolo dell’ordine equilibrato su cui si regge l’universo. Ma non bisogna fare confusione, perché ilmundus è anche il pozzo rituale che fa da confine tra vivi e morti, ed è nondimeno la fossa tracciata da Romolo a fondamento di Roma. Ancora un passo e in questo mundussotterraneo va a finire ciò che è immundus, vale dire l’immondizia. O monnezza, tanto per restare nell’Urbe.
Altra parola familiare, questa volta in senso stretto: frater, da cui l’italiano “fratello” e il francese frère. L’inglesebrother, il tedesco Brudere perfino il russo brat sono meno distanti di quanto si potrebbe pensare, dato che sono accomunati dalla parentela – è il caso di dire – con il sanscrito bhratar. Ma anche lo spagnolo hermano e il portoghese irmão vantano una genealogia latina, per l’esattezza da germanus , che indica il rapporto di consanguineità.
Le parole prese in esame dal Dizionarietto di Cesaretti e Minguzzi sono poco meno di un migliaio, radunate in circa trecento voci ragionate che tracciano un affascinante reticolo di occorrenze e corrispondenze. Non mancano le curiosità, come quella relativa all’intraducibile busilllis,esito della corruzione di un altrimenti trasparente in diebus illis, “in quei giorni”: si sbaglia una trascrizione e ci si ritrova con in die separato da busillis, che diventa così il rompicapo per antonomasia. A volte per apprezzare la peculiarità di un termine latino viene in soccorso un verso di Dante. L’esortazione di «stare contenti (…) al quia» riporta al significato proprio di contentus che, prima di diventare aggettivo in italiano e molto prima di riferirsi alla felicità o contentezza, è il participio passato del verbo contineo e descrive semmai la condizione di chi rimane dentro i limiti assegnati.
Tengono banco le questioni etimologiche, in un percorso che non esclude il ricorso all’interpretazione più o meno fantasiosa. “Incinta”, di per sé, sarebbe il participio del verbo incieo, che indica l’atto del fecondare, ma con il passare del tempo prevale l’autorità di Isidoro di Siviglia, che nel VII secolo ipotizza un legame con l’usanza, tipica delle donne in gravidanza, di indossare vesti prive di cintura (cinta). Spesso del significato originario rimane una traccia labilissima, come nel caso del “rivale”, che è colui che attinge per protervia e per dispetto allo stesso ruscello, o rivus, del vicino con cui entra in conflitto. Anche la pronuncia, però, vuole la sua parte. Non solo quando si tratta dei termini caratteristici dell’inglesorum, come nel dilemma media/mìdia, ma anche di parole ormai entrate nell’uso comune. A rigore, infatti, dal latino regimen (con la i breve) dovrebbe conseguire l’italiano “régime”, se non che interviene l’influenza del francese régime e l’accento si sposta.
La presenza del latino può essere vistosa, come avviene quando un’espressione viene trasposta direttamente in italiano: forum, album, viceversa, salve. Cesaretti e Minguzzi forniscono una lista molto ampia di casi come questi, ma forse la sezione più curiosa delDizionarietto si trova nelle ultimissime pagine, nelle quali gli autori celebrano «il potere dei suffissi». Poche lettere, meno di una parola e magari neppure riconducibili a una sillaba propriamente intesa, eppure capaci di introdurre una sfumatura decisiva. Come -nd-, che comporta l’obbligatorietà (il tagliando deve essere tagliato, no?) oppure -ur-, che permette l’apertura verso il futuro. O verso il futuribile, se solo si aggiunge un altro suffisso, -bil-, che ci trascina nell’ambito della possibilità. Ancora non sappiamo come sarà l’Europa di domani. Ma che bello sarebbe se fosse latinabile...