Il Messaggero, 20 dicembre 2018
Houellebecq e Parigi
Sono mesi intensi per lo scrittore francese Michel Houellebecq, lo scorso settembre si è sposato con la fidanzata Qianyum Lysis Li, il suo terzo matrimonio, e tra tre settimane uscirà il suo nuovo romanzo, Serotonina, la storia di un uomo che sopravvive grazie a un antidepressivo a base appunto di serotonina, l’ormone che regola la felicità, ma anche l’aggressività e l’umore.
Nell’attesa della sua nuova fatica letteraria, è interessante ripassare i fondamentali della sua geografia parigina, la città dove ambienta tutti i suoi romanzi e dove ha passato la maggior parte della sua vita. Come altri scrittori che usano la capitale francese come un personaggio (la Belleville meticcia di Pennac, i vicoli stretti e le brasserie fumose di Simenon, l’elegante Saint-Germain-des-Prés di Beigbeder) anche Houellebecq descrive una sua Parigi personale che è un riflesso della sua scrittura realista e mimetica.
LA TANGENZIALE
Non c’è la grandeur della Torre Eiffel, ma invece le squadrate torri abitative del XIII arrondissement, grossi condomini che di lussuoso offrono solo la vista di Parigi. Lui stesso vive in un sobrio appartamento di poche stanze e ha chiesto espressamente un appartamento con le finestre rivolte a Sud, verso la periferia e la tangenziale che la circonda, per non vedere nessun monumento parigino, ha spiegato all’amico giornalista Sylvain Bourmeau. È proprio in questo arrondissement che sono ambientati sia Sottomissione sia uno dei suoi romanzi più famosi, La Carta e il Territorio, premio Goncourt 2010, dove lo stesso scrittore compare come un personaggio che abita in un bungalow non ammobiliato nei pressi dell’aeroporto di Shannon. Anche nei suoi romanzi, Houellebecq riserva per sé un trattamento spartano.
Dimentichiamo i grandiosi musei d’arte impressionista come la Gare d’Orsay, i romantici scorci del Quartier Latin o il lusso degli Champs-Élysées, i luoghi di Houellebecq sono fredde repliche del suo stile implacabile. Ci sono le larghe e dritte arterie del sud-est della capitale, snobbate dal circuito turistico perché, al contrario dei più nobili boulevard di Saint-Germain-des-Prés o dell’Opéra Garnier, sono mere vie di comunicazione in cui impiegati di media fascia, scapoli e senza ambizioni, rientrano dopo il lavoro in appartamenti spogli dopo avere comprato surgelati in porzioni individuali al supermercato sotto casa. «Parigi non è mai stata una festa e non vedo nessuna ragione perché lo divenga», dice il protagonista di Piattaforma citando Hemingway secondo il quale Parigi è una festa mobile.
LO STRADONE
Davanti ai microfoni, quando gli viene chiesto di descrivere i suoi luoghi preferiti, rivela di amare l’avenue de Choisy, un largo stradone che parte a raggiera dalla caotica Place d’Italie verso la tangenziale, e il supermercato asiatico Tang, dove «si trovano tutti i tipi di verdure e legumi bizzarri». Forse questo rifiuto per le comodità che gli addolcirebbero la vita è un lato del suo stile di vita notoriamente riservato e monastico, nell’eccezione alcolica e tabagista di Houellebecq? No, è lui stesso a spiegarlo: «Credetemi, sono un prodotto della classe media anche nelle mie aspirazioni. Non mi piace scendere in un bell’hotel nella rue des Beaux-Arts. Proprio non mi interessa».
E poi c’è la preferenza per le vie residenziali del XV arrondissement, ma quelle lontane dal centro, dove vive Daniel 1, il protagonista di La possibilità di un’isola, un quartiere di gente vera, e dove lo stesso Houellebecq ha abitato per anni, al 103 di rue de la Convention. Senza dimenticare le poesie dedicate alla Tour Gan, un anonimo grattacielo verdastro alla Défense, un quartiere di uffici, condomini e centri commerciali: «Se conoscete la Tour Gan, allora conoscete la mia esistenza», recita un suo verso.
Sono luoghi che a un personaggio del suo primo romanzo Estensione del dominio della lotta evocano la superficie lunare e che la letteratura non aveva mai degnato di uno sguardo, inesorabilmente piatti, come poi è la prospettiva e il mondo dei suoi personaggi. «Tutto può succedere nella vita», dice il suo Daniel 1, «soprattutto il niente».
I SUPERMERCATI
Houellebecq ha scelto accuratamente gli angoli della sua Parigi. La sonorità realista del suo stile mimetico si invigorisce dentro luoghi asettici dove l’umanità passa senza incrociarsi, come i supermercati, uno degli spazi urbani preferiti di Houellebecq, che li vede come un museo naturalista della natura umana e che riassumono la sua visione dell’architettura della società. Non è il supermercato come luogo del consumismo ma una replica della struttura sociale dove gli individui sono etichettati secondo definizioni che corrispondono al loro stile di vita, inseriti negli scaffali giusti e presentati ai consumatori, cioè il resto del mondo, che possono individuarli e capire il loro uso.
È sempre una prospettiva atrocemente distaccata e infatti Houellebecq usa la penna come uno stetoscopio – lui stesso nelle interviste appare come una sfinge con un filo di voce monotona. Il mondo è banale e volgare ma questo non lo scandalizza, così impregnato di nichilismo anche topografico all’interno di una Parigi lontana dalle cartoline – e quindi così irresistibilmente vera.