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 2018  dicembre 19 Mercoledì calendario

Strage di Erba, l’indennizzo tv ai parenti delle vittime

Franca Leosini è tornata con uno speciale su Rai3 di Storie Maledette e per la prima volta si è seduta alla sua scrivania, s’è cotonata la chioma, ha sottolineato pagine e pagine di atti, ma non per guardare in faccia l’assassino. Franca è tornata per fare un programma che rimediasse ai danni di altri programmi. Il caso è quello del massacro di Erba. Rosa Bazzi e Olindo Romano furono condannati per l’omicidio di Raffaella Castagna, il figlio Youssef, la madre Paola Galli e la vicina Valeria Cherubini, all’ergastolo, nel 2011, con sentenza definitiva.
Ci furono le confessioni, la Bazzi descrisse così gli omicidi: “È partita una cosa dai piedi, poi è salita allo stomaco, ho sentito come vomitare… più picchiavo, più accoltellavo e più mi sentivo sollevata, mi sentivo forte”. Ci furono tre processi, Carlo Castagna, che dopo l’appello disse “la difesa si è spinta fino all’indifendibile”. Ci fu Azouz che commentò il pianto di Rosa alla sentenza: “È solo un’attrice”. Ci fu Pietro Castagna, fratello di Raffaella, che disse: “È stato un mese durissimo per me e la mia famiglia. Ma ora è finito, dopo tutto questo fango”. Nessuno poteva sapere come sarebbe andata in seguito.
Dopo qualche anno, la difesa si spingerà oltre, Azouz cambierà idea e dirà che Rosa era sincera, per Pietro sarà l’inizio di un nuovo incubo. E tutto perché la corrente innocentista che vuole Rosa e Olindo innocenti e vittime di indagini malfatte, confessioni estorte e di sentenze sbagliate ha trovato la via mediatica attraverso un paio di megafoni potenti. Dal 2011, gli unici a sostenere la versione innocentista, erano quelli di Oggi con il giornalista Edoardo Montolli e quelli di Radio Padania. Poca roba. Nel 2013 però Azouz cambia idea. Dice che a uccidere la sua famiglia è stato un commando di italiani. Non qualcuno che ce l’aveva con lui però, non una vendetta per liti in carcere, “perché in prigione esiste un codice, donne e bambini non si uccidono”. Quindi a chi si riferisce?
La risposta arriva col tempo. Prima è una calunnia sottile. Poi, nell’aprile 2018, in un documentario dal titolo paradossale Tutta la verità sul Nove (l’autore è Fulvio Benelli, il giornalista licenziato da Quinta Colonna per la storia del finto rom), la pista alternativa trova un nome: Pietro Castagna. Si parla di un possibile movente (un anticipo di eredità che in realtà la sorella non aveva mai chiesto), di una Panda fatta sparire (fu regalata alle suore), di fantomatici testimoni oculari (poi evaporati). Si fa ascoltare un’intercettazione in cui Pietro, ai tempi, disse a un amico: “Tra un po’ diranno che è stata la Franzoni”, attribuendo la risata a lui. E invece a ridere era l’amico. Pietro è sotto choc.
Sono sconvolti anche il fratello Beppe e il padre Carlo Castagna. Gli autori del documentario vengono querelati. Carlo Castagna, padre di Beppe e Pietro, muore un mese dopo. Una malattia fulminante. I figli non diranno mai che quella calunnia ne è responsabile, ma solo “che quel dolore abbia contribuito… sì, ci abbiamo pensato”.
L’onda del revisionismo a cui il Nove ha dato avvio con l’ausilio degli avvocati della difesa e dei soliti due giornalisti, trova la sua spalla nel programma Le Iene.
Dopo l’estate, Pietro riceve una telefonata. Una tizia gli chiede di incontrare lui e il fratello per lavoro. All’appuntamento va solo Pietro. Lì non trova la ragazza ma l’inviato delle Iene Antonino Monteleone che chiede a Pietro come si sente ad andare in giro tranquillo con due poveri vecchietti in carcere. Domande su domande. Tra la gente, in mezzo alla strada, trattato alla stregua di un truffatore, di un furfante. Pietro manda una lettera di diffida alle Iene.
Sui giornali esce la notizia dell’aggressione mediatica. Monteleone si infuria. Dà del bugiardo a Pietro. “Non ho mai detto quelle cose. Manderò in onda l’intervista integrale!”. Iniziano i servizi. Ben sei, ma quell’intervista a Pietro, stranamente, non va in onda. In compenso va in onda un’imbarazzante apologia di Rosa e Olindo in buona parte scopiazzata dal documentario del Nove. Imbarazzante perché realizzata con la tecnica preferita da Monteleone (e spesso dalle Iene), quella del cherry picking: chi sposa una tesi e cita solo le sole prove a sostegno ignorando quelle che la smontano. Facile così.
Monteleone spera di convincere qualcuno da casa. Gli riesce poco. Poi pensa di fare il colpaccio con l’intervista a Olindo. Scrive su Instagram “Oggi ho cambiato la storia della tv”. Solo che Olindo nella versione vittima dello Stato è meno convincente di Fabrizio Corona. Il risultato è che per i Castagna sono due mesi di inferno, con la paura di essere tirati in ballo di nuovo, con l’avvertimento “manderemo in onda l’intervista, le intercettazioni che vi riguardano” e con messaggini di Monteleone e del suo autore, Marco Occhipinti, della serie “prima o poi dovrete fare i conti con la realtà”. Come se i conti con la realtà, i fratelli Castagna, non l’avessero fatti abbastanza. Come se non avessero il sacrosanto diritto di essere lasciati in pace, in quel lutto che non hanno mai avuto tempo di elaborare davvero. Ed è questo che ha fatto Franca Leosini l’altra sera. È tornata con i fratelli Castagna in studio per processare un assassino più subdolo, un assassino che non ha le mani sporche di sangue ma di insinuazioni, di sensazionalismo, di sospetto: la tv. Quella tv. Ha rimesso le cose a posto, Franca. Ha restituito dignità totale e definitiva a Pietro, ha dato modo ai Castagna di spiegare cosa vuol dire sopportare quel peso mediatico dopo undici anni, ha dato una lezione di giornalismo senza imboscate, tesi suggestive e revisionismi pindarici che non cercano verità, ma vanità.