Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  dicembre 19 Mercoledì calendario

Google e le cinque sorelle, mega fondi da 300 miliardi senza alcun controllo

Hanno sostituito ormai da tempo, nella realtà e nell’immaginario collettivo, le sette sorelle del petrolio. Veri e propri giganti economico-finanziari, oligopolisti nei loro mercati, che siano il web o la tecnologia. Ma soprattutto nuovi forzieri di denaro liquido accumulato dai mega-utili prodotti che le trasformano di fatto in grandi banche o meglio enormi fondi d’investimento. Con tutti i rischi che questo comporta. Le banche e i fondi sono vigilati dalle autorità mentre le varie Apple, Alphabet (l’ex Google), Microsoft, Amazon e Facebook, solo per citare i nuovi “padroni dell’Universo”, sono liberi da vincoli esterni nei loro movimenti imponenti di denaro.
Il Grande Fratello orwelliano è già qui, trasposto in enormi multinazionali nate dalla rivoluzione di Internet e ora dominus finanziari globali. Dimenticativi per un attimo il vostro smartphone e il web su cui navigate o gli acquisti via e-commerce. Quello è il lato visibile del business dei giganti del tech. Il lato che non vedete e che sta in ombra è la potenza finanziaria che cresce ogni anno che passa. Alphabet, la holding di Google, ha fatto ricavi a fine settembre del 2018 per 130 miliardi di dollari. Su quelle vendite porta a casa 19 miliardi di utili che cumulati nel tempo hanno consentito al patrimonio della società di salire a 169 miliardi. Ma non basta, Alphabet ha oggi cassa liquida e investimenti finanziari per la bellezza di 106 miliardi. Microsoft ha un patrimonio di 85 miliardi, figlio dei profitti prodotti negli anni e una dotazione di cassa e titoli investiti per 135 miliardi. Amazon il gigante delle vendite online macina un fatturato di 220 miliardi su cui ha una redditività industriale di 25 miliardi sonanti e si permette di avere munizioni tra liquidità e investimenti in bond e azioni per 30 miliardi. Facebook, la creatura di Zuckerberg, viaggia con margini industriali pari al 54% dei suoi ricavi (a 52 miliardi a settembre di quest’anno). Vengono reinvestiti certo nella società e nell’acquisto delle proprie azioni (i buy back che tutti i colossi del web praticano e che sono responsabili di buona parte della domanda di titoli che fa salire le loro quotazioni) ma la profittabilità è così elevata da residuare liquidità oggi pari a 41 miliardi di dollari. E che dire della grande mela tecnologica? La Apple ha una potenza di fuoco a bilancio per 66 miliardi tra conti correnti e titoli. Sommateli insieme e avrete un grande fondo d’investimento che muove 380 miliardi di dollari. E sono solo i primi 5 big del web-tech mondiale. L’Ufficio studi di Mediobanca ha messo di recente sotto osservazione l’intero universo del comparto, le “web soft”, rilevando una dotazione complessiva di liquidità pari a circa 480 miliardi di dollari.
Tanto per dare un’idea delle dimensioni, il fondo sovrano della Norvegia, il più grande al mondo, ha un attivo di bilancio di circa mille miliardi di dollari. Ma è un fondo governativo di un Paese che macina ricchezza sugli export di greggio e che è controllato dalle autorità nelle scelte di investimento. Qui siamo in presenza di compagnie private che primeggiano con investitori istituzionali a livello globale. Già ma dove viene investita tutta questa ricchezza? Sempre R&S Mediobanca nel suo ponderoso studio calcola che circa 320 miliardi sono investiti in titoli a breve termine. Di questi circa metà finisce in titoli di Stato del Tesoro americano, ma non mancano obbligazioni societarie pari al 28% dell’intero ammontare. E poi anche titoli strutturati più opachi e rischiosi come gli Abs. Come le banche quindi? No peggio. Solo gli investimenti in titoli valgono, sempre secondo R&S Mediobanca, il 25% del totale dell’attivo di bilancio dei colossi del tech. Le stesse banche a livello globale investono in media il 20% del loro bilancio. Vista così, i vari Microsoft e Facebook si sono nel tempo trasformati da produttori di beni e servizi sulla Rete a fondi d’investimento finanziari. Di fatto si comprano un pezzo del debito pubblico americano; osano anche spingersi su obbligazioni di società private e rischiano qualcosa sui prodotti strutturati. Senza contare le potenti politiche di riacquisto in Borsa dei propri stessi titoli, di fatto drogandone il valore.
Già, la Borsa. Ormai le regine di Wall Street sono loro. Una corsa esplosiva sui listini che ha portato molte di loro a infrangere lo scorso anno la barriera dei mille miliardi di capitalizzazione. Una corsa eccezionale guidata certo dagli utili che ogni anno crescono a doppia cifra, ma che rischia di sbattere contro la legge di gravità. Quest’anno, infatti, con le Borse in chiaroscuro sono stati tra i titoli più venduti. Una retromarcia che rischia di essere fulminea così come la salita degli ultimi anni verso l’alto. Un’azienda come Alphabet, pur in calo del 20% dai massimi del 2018, vale oggi al Nasdaq 728 miliardi di dollari, oltre 5 volte il fatturato e il suo patrimonio netto. Apple, caduta del 30% in tre mesi, vale tuttora 785 miliardi, 7 volte il suo capitale. Siamo lontani dai record del 2017 quando le aziende del campione di Mediobanca erano arrivate a valere in Borsa oltre 4 mila miliardi di dollari, sei volte il valore dell’intera Piazza Affari e più del Pil della Germania. Regine oligopolistiche del mercato cui impongono i loro prezzi, utili stellari che nessuna industria al mondo produce più, grandi elusori fiscali e ormai grandi banche o meglio grandi investitori finanziari. Centauri insomma, dato che una buona fetta dei loro attivi di bilancio vengono ora dalla finanza e non dai beni reali. In fondo, lo specchio dei nostri tempi. Dove la finanza ha soppiantato l’economia reale. Con tutti i rischi che questo comporta.