Corriere della Sera, 19 dicembre 2018
L’esilio e il dolore di Franceschiello, ultimo re di Napoli
Gli affibbiarono il soprannome di Franceschiello, piccolo Francesco. Certo per la giovane età, visto che aveva 23 anni quando nel 1859 salì al trono e poco più di 25 anni quando ne fu cacciato nel 1861. Ma anche Napoleone era appena venticinquenne quando nel 1796 prese il comando dell’Armata d’Italia e nessuno si è mai azzardato a chiamarlo con un diminutivo. Invece nei confronti di Francesco II, la condiscendenza, venata di un vago disprezzo, si è manifestata subito e resiste tuttora. Il motivo è che «nell’affollato Pantheon degli sconfitti della storia (…) l’ultimo re delle Due Sicilie merita decisamente un posto di rilievo», come scrive Gigi Di Fiore nella prefazione al suo libro (L’ultimo re di Napoli. L’esilio di Francesco II di Borbone nell’Italia dei Savoia, Utet, pagine 365, e 18) di cui il monarca deposto, la sua bella e irrequieta regina Maria Sofia e un simulacro di corte partenopea trapiantata a Roma sono i dolenti protagonisti e comprimari.
Non è la prima volta che Di Fiore, storico e giornalista (è inviato del quotidiano napoletano «Il Mattino»), si cimenta con gli «sconfitti della storia» e in particolare con coloro che la narrazione risorgimentale ha lasciato ai margini della consapevolezza nazionale. Nel caso di Francesco II l’autore ha scelto di narrarne la vita a partire dal 13 febbraio 1861, data in cui la bandiera borbonica fu ammainata dagli spalti della fortezza di Gaeta, luogo dell’ultima resistenza napoletana contro l’esercito piemontese dopo l’invasione del Regno, nel 1860, da parte delle camicie rosse di Garibaldi.
Da quel giorno in cui fu costretto a lasciare il trono e fino alla morte, avvenuta il 27 dicembre 1894 ad Arco di Trento, la vita del «signor Fabiani» (come si faceva chiamare negli ultimi anni il monarca deposto) fu una vita di esilio: prima ospite del Papa Pio IX a Roma (da cui fu costretto a partire dopo che i bersaglieri, il 20 settembre 1870, entrarono a Porta Pia), poi a Parigi e in Baviera, da cui veniva la moglie, sorella dell’imperatrice d’Austria Elisabetta, la romantica e infelice Sissi che ormai per noi contemporanei ha il volto stupendo di Romy Schneider. Un esilio travagliato dalle ristrettezze economiche (il Regno d’Italia si era impadronito non solo del patrimonio borbonico, ma anche di una parte cospicua dei beni personali del sovrano), dalla morte dell’unica figlia all’età di tre mesi, dalle discordie familiari («I fratelli più piccoli, irrequieti e spendaccioni... costrinsero il capo della dinastia a continui interventi per risolvere situazioni imbarazzanti», scrive Di Fiore) e infine dalla salute sempre più malferma. Il tutto mentre le prospettive di riavere il trono diventavano sempre più evanescenti nel mondo dei grandi Stati-nazione.
A Maria Sofia lo legò per tutta la vita un grande affetto, reso «freddo» però da una malformazione al pene (la fimosi) che rendeva molto difficili i rapporti sessuali completi. Un problema di facile soluzione con un intervento chirurgico abbastanza banale anche con le competenze mediche dell’Ottocento, ma al quale Francesco II non si volle mai per paura sottoporre. Ciò spiega le anche le ricorrenti voci su una propensione della regina alle passioni extraconiugali, con corredo di foto contraffatte in cui appariva nuda e in posizioni impudiche, a dimostrazione che le fake news hanno preceduto di secoli internet e i social network. Con questo lavoro Di Fiore si è proposto «di colmare un vuoto, sperando di fornire spunti ulteriori di riflessione sulla figura dell’ultimo re di Napoli». L’obiettivo appare riuscito.