La Stampa, 19 dicembre 2018
Pensa come Coco Chanel, diventerai Steve Jobs
Che cosa hanno in comune Coco Chanel, Steve Jobs e il re degli aspirapolvere James Dyson? Sono stati straordinari innovatori, che inventarono maxi business dal niente. Le loro storie si trovano nei soliti manuali di autoaiuto, con ricette più meno simili, alla «credi in te stesso», scritti da esaltati guru del counseling. Quella, però, è pseudoscienza. Tre scienziati, invece, hanno voluto vederci chiaro: gli ingredienti del successo sono solo circostanze fortunate mescolate al talento o esistono delle costanti? E si possono imitare le persone di successo?
Secondo Simone Ferriani, docente di Imprenditoria e Innovazione all’Università di Bologna e alla Cass Business School City University di Londra, Gino Cattani, collega alla New York University, e Andrea Lanza, dell’Università della Calabria, autori della ricerca pubblicata su «Organization Science», a partire da alcuni casi studio è in realtà possibile stabilire delle regole. La ricerca è un mix interdisciplinare che incrocia linguistica, dati storici e test di laboratorio in cui i processi mentali, alla base della valutazione delle idee, sono stati analizzati con approccio statistico.
Differenziati dalla massa
A fare la differenza è la prospettiva con cui si pensa al proprio progetto. Chi parte dai margini ha spesso più armi in questo senso, perché non è abituato a seguire le regole di una società di persone «integrate» ed è meno esposto alle influenze del sistema: «Tanto più sei “centrato” - spiega Ferriani - tanto più sei vittima delle pressioni normative del contesto culturale e politico e il tuo pensiero tenderà a uniformarsi a quello dominante». C’è sempre un margine, a meno di nascere sceicco o figlio di Donald Trump. L’importante è una dose di anticonformismo: permette di scorgere le possibilità. «Chanel - conferma Ferriani - concepì alcune delle sue idee estetiche più radicali e iconiche, come la predilezione per il bianco e nero, ispirandosi ai colori delle uniformi indossate negli anni dell’orfanotrofio».
Trova il venture capitalist
Se Steve Jobs avesse continuato a elemosinare fondi dalle banche non avrebbe inventato Apple. Non tutte le buone idee sono chiare a chi deve scommetterci il gruzzolo. Anzi, è probabile che una idea venga stravolta per avere ritorni nel breve periodo. Jobs, invece, trovò una sponda in Mark Makkula, giovane ingegnere che vide un potenziale laddove l’establishment vedeva solo ostacoli. L’anticonformista deve quindi cercare il finanziatore che può permettersi di giocare con la fortuna, anche perché le idee non sono sempre subito delle ottime idee e vanno aggiustate. Prendete James Dyson, fondatore dell’impero degli aspirapolvere: «Fu dopo 15 anni di test e 5 mila prototipi - racconta Cattani - che perfezionò la macchina senza sacche che l’avrebbe catapultato ai vertici dell’industria».
Incassa i no e tira dritto. Le persone di successo sono anche le persone più frustrate. Sono arrivate dove sono perché capaci di incassare innumerevoli no e riprovare. La storia è piena di celebrità rifiutate: dal mondo dello spettacolo a quello della scienza, la voce più importante nei curricula è una gavetta massacrante. Pensate quanti anni di test falliti ci sono voluti prima di «fotografare» il bosone di Higgs e quanti ne fallisce il chimico per trovare la molecola che diventa un farmaco.
Cattura l’audience. Spesso non è l’iniziativa a mancare. Ma, se non riusciamo a persuadere chi ci sostiene, sarà difficile avere una seconda possibilità e poi una terza . Se alcune grandi idee vengono rifiutate, è spesso perché non si è stati capaci di spiegarle. Bill Gates o Mark Zuckerberg, per quanto abili con i codici informatici, non è con la scienza che hanno inventato i loro imperi: l’hanno fatto raccontandoli agli investitori, ai propri ingegneri e poi al pubblico. Quanto sarebbe stato capace ognuno di noi a convincere la banca a finanziarci Facebook prima che esistesse?
Aspetta il tuo turno
Il premio Nobel per la Fisica Max Planck diceva: «Una nuova verità scientifica non trionfa perché i suoi oppositori si convincono, ma perché alla fine muoiono e nasce una nuova generazione a cui i nuovi concetti diventano familiari». Quindi gli outsider devono essere pazienti. Ferriani e colleghi l’hanno provato. «Studiando i trend musicali, ci siamo accorti che i nuovi stili hanno maggiore probabilità di imporsi dopo la morte delle grandi rock star». Dunque, non confidiamo troppo negli «outlier», in statistica fenomeni eclatanti che deviano dalla media. Originalità, abilità e capacità di ricominciare non bastano. Perché l’Olimpo è un posto affollato ed è probabile che il tuo turno sia domani.