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 2018  dicembre 19 Mercoledì calendario

Intervista a Jean-Louis Trintignant: «A teatro quando recito la guerra e la morte penso sempre a Marie»

Si riposa in una camera d’albergo, aspettando la sera. Andrà a recitare le poesie che ama, tra una melodia di Astor Piazzolla e l’altra, al Teatro della Porte-Saint-Martin. La voce di Jean-Louis Trintignant è quella di sempre: flebile, dolce, profonda, sfuggente. Ha appena compiuto 88 anni, è malato e praticamente cieco (ma non si parlerà di questo). Un’infermiera e un’assistente si occupano di lui. «È il mio harem», scherza. Sono giovani: ridono, lo ascoltano.
È il Ferragosto del 1962. E nel film «Il sorpasso» lei, Roberto, universitario fuori sede, incontra a Roma quel turbine di Bruno (Vittorio Gassman). Quanto c’era di Roberto in Jean-Louis?
«Molto. Io avevo 32 anni, ma sembravo più giovane. Timido lo sono ancora. E provinciale: vivo in Provenza a pochi chilometri da dove sono nato».
È stato corridore automobilistico, può giudicare. Come guidava Gassman?
«Al volante era terribile. Ma era così simpatico. Nella vita reale rifletteva un po’ il suo personaggio e al tempo stesso era raffinato e colto. Entrambi recitavamo Amleto nei rispettivi Paesi, in maniera molto diversa. Discutevamo tanto di Shakespeare».
Le riprese di quel film rappresentarono per lei un’estate in Italia…
«C’era sempre il sole ma per l’incidente Dino Risi voleva un cielo nuvoloso. Dovemmo aspettare. Il film era in bianco e nero ma lui aveva ragione: nella scena si sente qualcosa di tragico nell’aria».
Nel 1970 uscì un altro dei suoi film italiani, «Il conformista» di Bertolucci…
«Il primo giorno delle riprese morì Pauline, mia figlia. Ero in un albergo a Roma, con lei e sua madre. Mi svegliai e vidi che la piccola, di pochi mesi, non respirava. I romani ogni tanto hanno quel guizzo da canaglie, ma lì furono formidabili. Scesi per strada, un automobilista si fermò. Mise un fazzoletto al finestrino e iniziò a correre verso l’ospedale. Saliva sui marciapiedi: tutti lo lasciavano passare. Per Pauline non ci fu niente da fare. I romani non mi sembravano così disponibili, in quella tragedia scoprii la loro umanità».
Continuò a recitare?
«Credo di essere stato particolarmente sensibile in quel film a causa di quello che avevo vissuto. Un giorno Bertolucci girò una scena e mi trovò molto bravo. “A cosa pensavi?”, mi chiese. Ovviamente pensavo a mia figlia. Ma io gli risposi: «Agli pneumatici della mia macchina». Lui dopo diceva: «Che fortuna ha quest’uomo, ha gli pneumatici in testa e recita così».
Doveva farlo lei il ruolo di Marlon Brando in «Ultimo tango a Parigi», è vero?
«Sì, avevo anche collaborato con Bertolucci alla sceneggiatura. Ma mia figlia Marie, che allora aveva otto anni, dette una sbirciata al copione e si rese conto della situazione. Mi chiese: cosa diranno le mie amiche a scuola? Rinunciai. E non ho rimpianti: Brando è stato bravissimo».
Da poco ha finito di girare un nuovo film, in realtà una vecchia conoscenza…
«Sì, il sequel di Un uomo, una donna, con Claude Lelouch. Io e Anouk Aimée ormai siamo due vecchi! Siamo rimasti amici in tutti questi anni. Ho conosciuto Monica Bellucci, che recita nel film, una donna dal grande fascino».
Veniamo al suo spettacolo in teatro. L’amore per la poesia è nato in tarda età?
«No, fin dagli Anni 40. Jacques Prévert è stato il primo poeta che ho amato. Lo amo oggi ancora più di allora».
Lei com’è stato con le donne?
«All’epoca un po’ gigione, anche egoista. Ero carino, ne approfittavo».
Nel 1956 sul set di «Et Dieu… créa la femme» nacque una passione con Brigitte Bardot, in quel film girato dal marito di lei, Roger Vadim…
«Quando le donne sono belle, si dice che sono stupide. Ma Brigitte era molto intelligente. Un giornalista una volta le chiese: “Fuma dopo aver fatto l’amore?” Lei rispose: “Non lo so, non mi sono mai guardata”. Era troppo forte».
Nel suo spettacolo prevalgono la guerra e la morte…
«Recito, tra le altre, Il disertore di Boris Vian. Io una guerra l’ho combattuta, terribile, in Algeria, durante il mio servizio militare. Per la morte, penso a mia figlia Marie, vittima di una fine violenta. Tanti mi dicono: ma è successo quindici anni fa, dovresti pensare ad altro. Non ci riesco».
Lei ha paura della morte?
«Prima dicevo che non me ne importava nulla. Ma adesso che è vicina, la temo, eccome, perché è incomprensibile. Nessuno è mai ritornato indietro. Nessuno ci ha detto se dopo è bello oppure no».