la Repubblica, 19 dicembre 2018
Il paradosso del greggio: quotazioni in ribasso e ricchi dividendi
Non inganni la caduta del prezzo del greggio. L’andamento del mercato finanziario non sempre si allinea con quanto accade nell’economia reale. Perché, paradossalmente, il crollo delle quotazioni, tornate ieri ai livelli dell’agosto del 2017, è il sintomo di una industria petrolifera che non è mai stata così “sana” come negli ultimi mesi. Forse – e qui sta il problema – anche troppo: nella seconda parte dell’anno, i pozzi che sono tornati a produrre a pieno regime. Con un livello di barili estratti da record sia negli Stati Uniti così come in Russia e in Arabia Saudita. Il fatto che si tratti dei primi tre Paesi nella classifica mondiale dei produttori spiega, in buona parte, il crollo del prezzo delle ultime settimane, a fronte di un eccesso di offerta.Ma questo significa anche che – con tutto il petrolio messo sul mercato – le grandi compagnie petrolifere sono tornate a macinare utili. E, secondo gli analisti del settore, potranno continuare a farlo anche a un livello di prezzi lontano dai 70- 80 dollari raggiunti tra settembre e ottobre. Lo dimostrano i dati di bilancio comunicati dalle big oil company per il terzo trimestre dell’anno: una situazione decisamente florida che si traduce, in ultima istanza, in ricchi dividendi per gli investitori. Performance positiva che riguarda, in particolare, le compagnie europee: tenendo conto dei primi otto gruppi per capitalizzazione di Borsa del Vecchio Continente, ben cinque hanno accumulato rendimenti compresi tra il 5 e il 6 per cento in rapporto alla cifra investita sui singoli titoli e altri tre attorno al 4 per cento.
Lo rivela un report di Société Générale: secondo gli analisti del gruppo francese, in cima alla classifica dei rendimenti ci sono la spagnola Repsol, l’anglo- olandese Shell e la britannica Bp, tutte con un rendimento della cedola superiore al 6 per cento. Ma subito alle loro spalle troviamo Eni (5,9%) e i francesi di Total (5,4%). La cosa interessante, secondo quanto si legge nello studio riguarda il fatto che i rendimenti – che si riferiscono a quanto verrà distribuito per l’esercizio 2018 – saranno confermati (se non addirittura aumentati) anche nel corso del 2019.
E come è possibile, di fronte a una situazione dei prezzi in cui negli ultimi due mesi e mezzo, i derivati sul petrolio hanno perso più del 45 per cento del loro valore, nonostante l’accordo raggiunto sul taglio alla produzione nell’ultima riunione tra i paesi Opec e la Russia?
Gli analisti danno una doppia spiegazione. La prima riguarda il fatto che i prossimi mesi saranno dominati da un’elevata volatilità dei prezzi, determinate dall’andamento della produzione. La seconda ragione deriva da quanto accaduto nel biennio” nero” 2014- 2015, quando il crollo delle quotazioni sotto i 30 dollari costrinse le oil company a impegnarsi in una ristrutturazione industriale – migliorando le tecnologie utilizzate – per tagliare i costi di produzione. Politiche grazie alle quali ora molte compagnie sono in grado di raggiungere il break even anche a livelli di prezzo più bassi di un tempo.
Ne sono convinti, tra gli altri, anche gli analisti di Beremberg, una delle istituzioni bancarie tedesche più prestigiose: date le condizioni di mercato, grazie a una crescita della produzione, costi di estrazione che non dovrebbero aumentare e un prezzo attorno ai 65 dollari, anche nei prossimi due anni, le grandi compagne petrolifere dovrebbero distribuire cedole tra il 5 e il 7 per cento.