la Repubblica, 19 dicembre 2018
Fumetti e kung fu, l’eroe Marvel fa infuriare i cinesi
PECHINO Sul supereroe nulla da obiettare. Shang-Chi è un vero maestro di kung fu, sa maneggiare come nessuno spade e stelle rotanti, ha balzi da ghepardo e nobiltà d’animo. Il problema è suo padre, Fu Mangchu, con quei baffetti neri e lo sguardo da brividi. Tanto perfido che nel corso degli anni, attraverso libri, film e fumetti, ha incarnato in Occidente lo stereotipo del “pericolo giallo”, il cinese che sogna di soggiogare il resto del mondo.
Così quando in Cina si è saputo che la Marvel vuole fare di Shang-Chi, figlio dell’orrido Fu, il protagonista della sua prima pellicola cinematografica con supereroe asiatico, in rete è partita un’ondata di proteste stile D&G. «Avete usato Fu per insultarci in passato», riassume per tutti un utente su Weibo, il Twitter mandarino. «Ora usate il figlio per spillarci i soldi».
Non poteva esserci inizio peggiore, per il film con cui Marvel sogna di sedurre il botteghino più ricco del mondo. Il colosso dei fumetti americano sta cercando di variare i suoi modelli di supereroi rispetto a quelli bianchi e caucasici della tradizione, Capitan America & Co. E con Black Panther, protagonisti e temi tutti di colore, ha ottenuto lo scorso anno un successo planetario di critica e pubblico. Da qui l’idea di replicare a uso e consumo cinese. Il personaggio giusto ce l’aveva in scuderia da tempo: Shang-Chi è un eroe che ha calcato le pagine dei suoi fumetti tra gli anni 70 e gli 80, in piena mania da arti marziali, con qualche fugace apparizione più di recente.
Per trasformarlo in pellicola è stato scelto Dave Callaham, sceneggiatore americano sì, ma di origini cinesi e pure cintura marrone di jiu-jitsu. Sulla carta un cocktail perfetto. La genealogia del fumetto però racconta che all’epoca Marvel cercò senza successo di comprarsi da Warner i diritti della serie televisiva Kung Fu, protagonista David Carradine. Ripiegando poi su quelli di un antagonista, Fu Manchu, di cui un nuovo eroe combattente ispirato a Bruce Lee sarebbe stato il figlio. Il creatore di quel criminale, lo scrittore di racconti inglese Sax Rohmer, così lo descriveva a inizio secolo: «Investitelo di tutta l’astuzia crudele dell’intera razza orientale, accumulata in un intelletto gigantesco (…) avrete l’immagine del pericolo giallo incarnato in un uomo».
Uno stereotipo figlio di un’epoca razzista, saccheggiato a piene mani nel corso del Novecento da registi, sceneggiatori e fumettisti. Nella furibonda discussione social qualcuno ha provato a dire che tanta acqua era passata, che nei film americani perfino il presidente può essere malvagio e che nei fumetti Marvel l’eroe figlio di un cattivo è un topos. Niente da fare, per la maggioranza Fu Manchu resta un simbolo di discriminazione da cancellare. E a rendere ufficiale la sentenza ci ha pensato il quotidiano di regime Global Times, con tanto di raccomandazioni di critici cinematografici: trovate a Shang-Chi un nuovo padre. Ora è probabile che Marvel lo faccia, ringraziando che la gaffe sia emersa agli inizi della produzione.L’ennesima conferma di quanto sia difficile per l’industria culturale occidentale interpretare (o almeno non urtare) il sentire del pubblico cinese. La scorsa settimana è arrivato nelle sale dell’Impero Crazy Rich Asian,primo film con cast tutto asiatico, una commedia d’amore ambientata tra gli yacht e i superattici dei nuovi ricconi di Cina. Visti i buoni incassi americani, ci si aspettava un esordio con il botto. Le sale erano deserte.