Il Sole 24 Ore, 19 dicembre 2018
Giuseppe Statuto, l’ultimo dei furbetti
Con Giuseppe Statuto agli arresti domiciliari si chiude definitivamente un ciclo. Quello degli immobiliaristi rampanti cresciuti a suon di debiti e diventati volontariamente protagonisti della rocambolesca estate del 2005, l’estate delle scalate “tentate”: alle banche e a Rcs. Così, ciò che già all’epoca era parso come un goffo tentativo di accreditarsi nella finanza salottiera ieri è diventato l’emblema della caduta dell’ultimo dei furbetti del quartierino.
Dopo Stefano Ricucci e Danilo Coppola, anche Statuto è finito sotto la lente dei giudici. Tutto è nato con il fallimento, nel 2016, di una delle miriadi di società che compongono la galassia dell’imprenditore, la Brera srl. L’ipotesi è che dal patrimonio della società siano stati distratti oltre 8 milioni di euro, relativi a un credito vantato verso la controllante Michele Amari. La stessa che nel 2005 Statuto utilizzò per acquistare il 2,056% di Bnl poi fatto confluire nel famoso contropatto a cui partecipavano anche Coppola e Ricucci. E la stessa che ancora oggi è al centro di una ragnatela di partecipazioni che, in una prima fotografia parziale che conta solo i veicoli con passaporto italiano, conta quasi 100 società.
Più in dettaglio, ne mette in fila complessivamente 98 e di queste, stando ai dati disponibili, poche sembrano essere ancora in buona salute. Anzi più della metà naviga in acque agitate. A un primo sguardo, alla luce dei numeri più recenti, ben 51 hanno registrato conti in rosso. Tra queste ancora una volta figura la Michele Amari che ha chiuso il 2017 con una perdita di quasi 15 milioni, mentre la Sviluppo Immobili Milano Centro ha segnato addirittura un – 51 milioni. Diverse poi non hanno ancora archiviato il primo esercizio e non esistono numeri disponibili. Di queste una buona fetta sono riconducibili a un’altra società chiave di Statuto, ossia la Statuto Lux Holding Re, azienda che ha attivi per 235 milioni e debiti per 290 milioni. La compagnia, che ha archiviato l’ultimo bilancio con profitti per 1,9 milioni nonostante un margine operativo lordo negativo per 1,3 milioni tra il 2016 e il 2017 ha avuto un incremento, legato alle partecipazioni in società controllate, per poco meno di 20 milioni di euro. Un aumento ascrivibile, secondo quanto spiegato nel bilancio dell’azienda, a diverse ragioni, tra le quali però meritano essere citate soprattutto «la riclassificazione della partecipazione in Michele Amari nell’attivo circolante, in quanto destinata ad essere ceduta; e la costituzione di 14 nuove società». Decisamente parecchie. Troppe, al punto da far sembrare naturale collegare un simile attivismo allo schema finito sotto la lente degli inquirenti nelle indagini sulla Brera. Nelle carte si parla infatti di «un più ampio disegno criminoso attuato dagli indagati mediante la creazione di società a mero scopo speculativo, le quali sono state sistematicamente ed in maniera preordinata portate al fallimento».
E pensare che nel 1992, quando Statuto, oggi 51 anni, ha ereditato l’attività del padre costruttore, l’impero che ruotava attorno all’immobiliarista, che pure non ha mai amato definirsi tale, era davvero altra cosa. Dopo 9 anni, nel 2001, fatturava appena 79 milioni. Niente rispetto al giro di centinaia di milioni della quasi 100 società che oggi gli fanno capo. Un impero fatto di azioni, di palazzi e soprattutto di grandi alberghi come il Mandarin Oriental a Milano, compreso il gettonatissimo ristorante Seta, o il Danieli di Venezia. Ma alla fine anche se Statuto ha volutamente deciso di restare lontano dagli impegnativi progetti di sviluppo immobiliare che hanno segnato l’oblio di Luigi Zunino e Coppola, ha commesso lo stesso peccato dei compagni di avventura: ha realizzato la sua fortuna facendo leva su una mole esagerata di debiti. Tanto da risultare nella lista dei primi 100 grandi debitori del Monte dei Paschi di Siena. Così alla fine i nodi sono venuti al pettine e l’impero, costruito in silenzio mettendo assieme pezzi di pregio, è finito nel mirino prima dei creditori e poi della giustizia. A decretare l’inizio della fine è stato proprio uno dei gioielli più cari: l’hotel Danieli. L’imprenditore non riusciva più a far fronte al debito contratto per acquistare l’asset. Le banche, Mps in testa, hanno risposto prima chiedendo il pignoramento dell’hotel e poi, una volta ceduta l’esposizione al fondo Apollo, è scattata anche l’istanza di fallimento. Di qui la corsa a recuperare risorse per tappare le falle. Anche a prezzi decisamente salati, come il finanziamento di cui parlarono le cronache lo scorso anno: 60 milioni da TCI all’11,478%. Troppi anche per un immobiliarista dalle presunte spalle larghe che ora dovrà fare i conti con la giustizia.